Ambiente
Montagna e turismo, ieri e oggi a confronto: «il meteo, in montagna, può fare la differenza tra la vita e la morte»
Il racconto di una disavventura in montagna dei primi anni ’80

L’episodio del turista in ciabatte su una ferrata (QUI link) ha dato inizio (ma forse sarebbe più corretto dire “un proseguo”) al dibattito parecchio acceso riguardo alla sicurezza, alla preparazione e all’incoscienza attuale di molti nel recarsi in montagna senza la dovuta serietà.
Una delle domande che ci si può porre è, ad esempio: com’era vissuta la montagna, magari nei primi anni ’80 o comunque in un passato neanche troppo lontano? Che cosa è cambiato?
È chiaro e scontato che con l’avvento e lo sviluppo dei social, tutto sembra più “vicino” o “alla portata” (basti pensare ai video sui social di file infinite di turisti che “prendono d’assalto” la montagna ed i rifugi nei periodi di vacanze). Ma non c’è nulla di più sbagliato. La montagna non perdona e va vissuta con il giusto rispetto e con la giusta preparazione.
Una storia che può far riflettere ce l’ha raccontata Francesca Sandre, una turista affezionata del Trentino Alto-Adige, che dopo aver postato su un gruppo Facebook della Val di Fassa quanto le è accaduto nei primi anni ’80, ci ha dato l’occasione per elaborare qualche pensiero sui cambiamenti del turismo e la leggerezza con cui troppe persone si avventurano in montagna.
Prima di lasciare spazio alla sua storia, ci sono alcune considerazioni da fare. Come Francesca – che tra l’altro in Val di Fassa ci va ancora al giorno d’oggi – ci ha raccontato poi al telefono «Era un altro mondo e in montagna saliva chi ci sapeva andare, sempre con molta cura, con molta attenzione di quello che si faceva. Non è che si improvvisava.
Ci tenevo a sottolineare che noi, in quella situazione, erano i primi anni ’80, non abbiamo chiamato nessun soccorso ma perché non c’erano telefonini con cui chiamare! Ci sarebbe stato tutto il bisogno di un soccorso, ma non c’era modo di chiamare e ci si doveva arrangiare in quelle situazioni.» Sicuramente un’altro tipo di mondo, ormai “lontano” per i giovanissimi di oggi, ma che deve anche far riflettere.
In quei tempi si controllava il meteo prima di partire, si organizzavano le uscite con cura e attenzione nei minimi dettagli. Non c’erano cellulari, app o orologi con gli aggiornamenti, con la sicurezza di qualcuno da chiamare nel caso di necessità.
Non si sarebbe mai improvvisata un’avventura in ciabatte su una ferrata, giusto per ricollegarci al dibattito a cui si accennava prima. Era un mondo che certamente si contrappone al presente attuale, non c’è neanche bisogno di ripeterlo.
Ma ecco a seguire la sua storia, come riportata sui social:
“Quando arriva un temporale a casa mia c’è il coprifuoco. Tutti ci ridono su e ci prendono un po’ in giro, ma pochi sanno che dietro a questa paura di fulmini e saette c’è una storia successa per davvero che spiega molto di quella che può sembrare un’eccessiva reazione.
Era una mattina di luglio in Val di Fassa, precisamente a Soraga. Avevamo stabilito che quel giorno saremmo saliti al rifugio Principe e poi, attraverso la ferratina, saremmo arrivati sulla cima del Catinaccio d’Antermoia per ritornare al Principe, attraverso il Passo d’Antermoia, un giro ad anello non difficile, ma lungo. Siamo arrivati al rifugio e il tempo cominciava a cambiare, solo che a nessuno andava di ritornare indietro. Eravamo in sei ma Franco, mio cognato, si è accorto che non aveva gli scarponi, quindi ha rinunciato.
Arrivati in cima già eravamo avvolti da nuvole nere e, toccando la croce di ferro, scaturivano scintille. Così abbiamo deciso di scendere quanto prima… Anche in discesa c’era la ferrata, perciò era impossibile procedere velocemente. A 50 metri dalla cima è scoppiato il finimondo: fulmini, saette, grandine. Abbiamo deciso di ripararci in un anfratto molto modesto nella roccia.
Ci siamo tolti moschettoni e oggetti di metallo e, mentre noi ragazze ci riparavamo, Elio, che non ci entrava, stava più all’esterno. Improvvisamente, mentre parlavo con Roberta, mi son sentita buttata a terra, mentre una gran forza mi teneva schiacciata, intorno a me un rimbombo forte e un dolore che mi attraversava.
Ho pensato di avere un malore, non capivo… poi mi son tirata su e non era bello quello che mi circondava: panico, braccia fumanti, urla, pianti, ma soprattutto Roberta con labbra blu e occhi fissi nel vuoto, non parlava, stava distesa, non reagiva, (lei ci raccontò in seguito che si sentiva precipitare verso l’abisso).
Eravamo sotto choc e doloranti, faceva freddo e il temporale continuava. Elio, che era quasi uscito indenne dalla scossa, decise che dovevamo scendere quei 600 metri di parete ghiacciata senza sicurezza, perché continuavano i tuoni e i fulmini, faceva molto freddo, e non avremmo resistito per un tempo lungo in quella situazione. Si caricò sulle spalle mia cognata e cominciammo ad andar giù.
Ricordo che si scivolava sulla roccia bagnata di pioggia ghiacciata e le mani diventavano insensibili, mancando la presa. Siamo arrivati alla base del Catinaccio in qualche modo, per poi risalire al passo e ridiscendere verso il rifugio. Quando abbiamo visto il rifugio ci siamo messe a piangere io e Lella, nonostante fossimo ancora sotto una pioggia torrenziale, ma la salvezza era a portata di mano.
Al Principe ci siamo presi una lavata di capo dai gestori perché non si sale con tempo incerto su un 3000. Poi hanno chiamato il soccorso per chi stava più male. Roberta si è ripresa lentamente, ci son voluti tanti giorni. Braccia e inguine erano cosparsi di capillari dilatati, tutti avevamo nausea, mal di testa e peli bruciacchiati, ma eravamo in piedi.
Dopo alcuni giorni mia mamma, che non sapeva dell’accaduto, è venuta a casa mia e mi ha chiesto cosa fosse quell’odore di zolfo: ci è rimasto addosso per un po’ l’odore, la paura per sempre! P.S. il meteo, in montagna, può fare la differenza fra la vita e la morte!”
Insomma, una disavventura che sarebbe potuta finire molto male, ma che certamente ha insegnato a un gruppo di ragazzi non proprio inesperti che la montagna sa essere sì bellissima ma anche estremamente severa se presa anche solo con un minimo accenno di leggerezza.
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