Il Miramondo Archivi - La voce del Trentino https://www.lavocedeltrentino.it/category/home/italia-estero/il-miramondo/ Quotidiano online indipendente Wed, 14 Aug 2024 16:18:29 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 Perché L’Ucraina ha invaso una parte del territorio russo? https://www.lavocedeltrentino.it/2024/08/14/perche-lucraina-ha-invaso-una-parte-del-territorio-russo/ Wed, 14 Aug 2024 16:18:37 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=474613 Perché L’Ucraina ha invaso una parte del territorio russo?

L’attacco ucraino ai territori della regione russa di Kursk può apparire illogico, dal momento che parte dei territori dell’Ucraina sono invasi dai russi; quindi, tutti si aspettavano una eventuale controffensiva per recuperare da quella parte di stato incamerato dalla Russia. In realtà secondo le più autorevoli fonti geopolitiche, tra le quali la Reuters, un motivo […]

L'articolo Perché L’Ucraina ha invaso una parte del territorio russo? proviene da La voce del Trentino.

]]>
Perché L’Ucraina ha invaso una parte del territorio russo?

L’attacco ucraino ai territori della regione russa di Kursk può apparire illogico, dal momento che parte dei territori dell’Ucraina sono invasi dai russi; quindi, tutti si aspettavano una eventuale controffensiva per recuperare da quella parte di stato incamerato dalla Russia.

In realtà secondo le più autorevoli fonti geopolitiche, tra le quali la Reuters, un motivo lo hanno intuito, ed è lo stesso al quale pensa un inferocito Putin.

Attaccando la regione di Kursk l’Ucraina mira con molta probabilità ad interrompere, almeno secondo le più approfondite analisi politiche, la fornitura di gas russo verso parte dell’Europa, in particolar modo Slovacchia Ungheria e Austria.

Sudzha  è una piccola città vicina al confine ucraino, attualmente al centro di duri scontri tra le forze russe e ucraine, perché a pochi chilometri si trova un punto nodale del colosso russo Gazprom, realtà industriale così potente che viene considerata uno stato a sé all’interno della Russia, tanto che ha continuato a fornire gas attraverso l’Ucraina anche dopo l’invasione, consentendo guadagni per entrambi, nonostante le sanzioni.

Ricordiamo che il gas russo prima della guerra era circa la metà di quello fornito all’Europa, ora le forniture russe sono scese al 28,3% dell’anno scorso quando nel 2022 erano oltre il 55%.

Questo calo è motivato dal fatto che già dall’inizio della guerra l’Europa ha iniziato a guardarsi attorno per trovare alternative alle forniture di gas russo, sostituendolo ad esempio con importazioni di gas liquefatto dagli Stati Uniti e aumentando le importazioni da Norvegia, Nord Africa, Gran Bretagna e Paesi del Golfo.

Una mossa accorta dal momento che nel settembre 2022 delle esplosioni sottomarine hanno gravemente danneggiato le linee di trasmissione del gas russo in Europa, il gasdotto Nord Stream.

Nessuno aveva rivendicato la paternità del sabotaggio, ora si apprende che vi è un ricercato ed è ucraino, come avevano ipotizzato il New York Times e il Washington Post.

Ma ritornando alla domanda del titolo la strategia dell’attacco potrebbe partire da lontano, poiché nel 2022 L’Ucraina, accampando problemi interni, aveva proposto a Gazprom, che certo non si aspettava un’invasione ucraina, di trasferire tutte le forniture provenienti dalla Russia attraverso il nodo di Sudzha la cittadina ora in mano alle forze ucraine e al centro di furiosi attacchi da parte russa per riconquistarla, sembra dirottando parte delle forze in Donbass. 

Comunque sia l’invasione tattica di Kiev è riuscita, e se resterà in mano agli ucraini questi avranno un peso maggiore in eventuali negoziati per la pace. Se qualcuno pensa che Putin perderà la testa e farà mosse azzardate anche contro l’Unione Europea non si allarmi, è stato del KGB, noto per la freddezza di suoi agenti. 

L'articolo Perché L’Ucraina ha invaso una parte del territorio russo? proviene da La voce del Trentino.

]]>
“Il Mistero Raisi”: I dubbi sulla morte del presidente iraniano https://www.lavocedeltrentino.it/2024/06/12/il-mistero-raisi-i-dubbi-sulla-morte-del-presidente-iraniano/ Wed, 12 Jun 2024 05:21:29 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=463261 “Il Mistero Raisi”: I dubbi sulla morte del presidente iraniano

Fino a 10 anni fa lo scomparso Presidente iraniano Ebrahim Raisi, precipitato il 19 maggio scorso con il suo elicottero, era quasi sconosciuto alla popolazione. Quando la questione della successione di Khamenei sembrava imminente Raisi era salito rapidamente nella classifica dei (per così dire) papabili. Secondo più voci raccolte dai media americani la Guida Suprema […]

L'articolo “Il Mistero Raisi”: I dubbi sulla morte del presidente iraniano proviene da La voce del Trentino.

]]>
“Il Mistero Raisi”: I dubbi sulla morte del presidente iraniano

Fino a 10 anni fa lo scomparso Presidente iraniano Ebrahim Raisi, precipitato il 19 maggio scorso con il suo elicottero, era quasi sconosciuto alla popolazione.

Quando la questione della successione di Khamenei sembrava imminente Raisi era salito rapidamente nella classifica dei (per così dire) papabili.

Secondo più voci raccolte dai media americani la Guida Suprema avrebbe già programmato che la successione spetterà a suo figlio, Mojtaba Khamenei.

In base a questo, molti osservatori hanno colto quasi con sorpresa i modi tranquilli e per nulla preoccupati di Khamenei durante il suo discorso poche ore dopo la scomparsa dell’elicottero di Raisi.

Khamenei pur pregando per il suo ritorno sano e salvo, ha anticipato che “il popolo dovrà essere fiducioso in merito al fatto non ci saranno disturbi negli affari di Stato”.

Non significa nulla, ma la morte di Raisi suscita più di un interrogativo, e siamo andati a cercarne le risposte nei sempre ben informati media americani, ad iniziare da Time.  Vediamo perché:

Partiamo dalla presenza dei passeggieri sull’apparecchio presidenziale che dovevano essere nove, tra cui due guardie del corpo, ma di corpi ritrovati ne risultavano solo otto.

Il mistero è stato svelato solo quattro giorni dopo, un’eternità inspiegabile.

Il presunto nono passeggiero, la guardia Javad Mehrabl viene visto disperarsi al corteo funebre di Raisi.

Secondo la stampa sembra che all’ultimo minuto, il suo capo, Mehdi Mousavi, lo aveva spostato dall’elicottero presidenziale ad uno degli altri due del convoglio.

Dopo la morte di Mousavi suo padre dichiarava alla televisione di Stato iraniana di essere stato certo che suo figlio non sarebbe tornato da questo viaggio. E lo spiega così:

“La sera prima del viaggio Mehdi è venuto a trovarci. Ha salutato ed è salito in macchina, ma è tornato ed è rimasto 20 minuti. Poi se n’è andato, ma dopo un breve viaggio in auto è tornato di nuovo e ha trascorso altri 10 minuti con noi. La terza volta, quando mi ha salutato, ha baciato sua madre, ha baciato i piedi di sua madre, ha baciato me, e poi si è chinato e ha baciato i miei piedi. È stato allora che ho capito che se ne sarebbe andato e non sarebbe mai più tornato, sapevo che non ci saremmo mai più incontrati”.

A tali profetiche premonizioni della guardia Mousavi i media iraniani sembra abbiano sbrigativamente attribuito tali presagi, dopo il racconto del padre, alla grande devozione del figlio. Come dire: chi ha fede prevede.

Mousavi faceva parte di un’unità d’élite delle Guardie Rivoluzionarie islamiche, corpo militare creato nel 1979 per sostituire l’esercito iraniano dello Scià dopo l’avvento del governo teocratico di Khomeini.

L’unità speciale di Mousavi, la Sepah Ansar al-Mahdi, è responsabile della sicurezza personale degli alti funzionari del regime, ed i suoi membri portano con sé particolari telefoni appositamente attrezzati per comunicazioni sicure e tracciamento della posizione, e il dispositivo di Mousavi sarebbe di certo stato essenziale per localizzare subito l’elicottero, precipitato non lontano dal confine iraniano con l’Azerbaigian.

Eppure, i primi soccorritori sarebbero arrivati ben 16 ore dopo.

Sembra che il transponder su un apparecchio che trasportava gli alti funzionari fosse stato spento per paura di essere rintracciato da governi ostili.

Forse è stata usata la stessa precauzione per i telefoni speciali delle Guardie?

Non vi sono, almeno per ora, sospetti sull’ Unità Sepah, al funerale di Raisi e delle altre vittime, i Guardiani della Rivoluzione del Sepah schierate dietro la Guida Suprema Ali Khamenei erano quasi due terzi dei presenti.

Ma le domande sull’accaduto persistono.

Dopo lo schianto dell’elicottero presidenziale un passeggero era sopravvissuto con ancora l’energia per recuperare il cellulare del pilota che continuava a squillare, e ha cercato con la forza della disperazione di descrivere l’area, ma è morto durante la lunga attesa dei soccorsi.

Secondo la stampa le ricerche non sono state tempestive a causa della scarsa copertura del cellulare.

Il capo di gabinetto di Raisi, che volava su un altro elicottero ha dichiarato che il pilota del presidente poco prima dello schianto ordinava agli altri elicotteri di salire di quota fin sopra le nuvole.  

Il suo pilota ha eseguito l’ordine, non così quello dell’elicottero presidenziale. Perché?

In un regime noto sia per la sua opacità che per la sua brutalità alcuni media Usa, non certo teneri con l’Iran, avevano fatto cenno al presupposto di un complotto, soprattutto dopo che l’anziana madre di Raisi è apparsa in video sconvolta chiedendo la morte di “chiunque ti abbia ucciso se non è stato Dio”.

Raisi era in corsa per succedere all’ ottantacinquenne Khamenei che parrebbe essere in cattive condizioni di salute, ed era sostenuto dalla fazione più estrema dei sostenitori del regime, il Fronte Paydari.

In Iran la rivolta ispirata Mahsa (Jina) Amini, morta sotto la custodia della cosiddetta polizia morale per “presunto hijab (velo) improprio”.

La rivolta dovuta al giro di vite sul “pudore” imposto nel 2022 proprio da Raisi, ha ispirato il movimento Donna, Vita, Libertà.

Il fatto che l’elicottero presidenziale sia precipitato al ritorno dall’inaugurazione di una diga chiamata Qiz-Qalasi, tradotto: Forte delle Ragazze, pare sia stato interpretato dagli oppositori come una giustizia profetica.

Raisi è stato anche il volto del brutale confronto del regime contro la rivolta, ed è incolpato per la morte di più di 500 rivoltosi iraniani.

Non solo, i gruppi per i diritti umani conoscevano Raisi come membro del cosiddetto “Comitato della morte” che nel 1988 ordinò sommarie esecuzioni di migliaia di dissidenti, commentata dagli stessi funzionari del regime come “la più grande atrocità della Repubblica islamica…per cui saremo condannati dalla storia”.

Non sarebbe la prima volta che qualcuno che non condivideva la visione di Khamenei per la futura leadership iraniana faccia una fine sospetta.

Nel 2017, l’ex presidente e fondatore della Repubblica Islamica Akbar Hashemi Rafsanjani è morto in una piscina.

Rafsanjani inizialmente era stato determinante nello spingere Khamenei al vertice della Repubblica, ma la convivenza amicale non durò e nei decenni che seguirono si scontrarono così tanto che, al momento della sua morte, Rafsanjani era conosciuto come il principale oppositore di Khamenei all’interno del regime.

La famiglia di Rafsanjani richiese un’autopsia affermando che i livelli di radiazioni del suo corpo erano notevolmente superiori ai normali livelli di sicurezza, ma la richiesta venne respinta e poco dopo il caso fu definitivamente chiuso.

Nelle ore immediatamente successive allo schianto dell’elicottero, è esploso un vero e proprio conflitto mediatico tra informazioni e disinformazioni, tanto che una analisi sui social media ha rilevato come solo su X il 22% degli account coinvolti nei dibattiti sull’incidente erano falsi, aggiungendo che si trattava di una sofisticata e organizzata campagna di disinformazione tesa a raggiungere la cifra mostruosa di 6 milioni di visualizzazioni in due giorni.

Interessante è la fonte dei dati: la società di sicurezza informatica Cyabra, con sede a Tel Aviv.

Cyabra afferma di aver documentato come circoli online una apparentemente buffa teoria del complotto.

Secondo tale teoria un agente del Mossad di nome “Eli Copter” aveva causato l’incidente.

Il nome era stato preso da una barzelletta pubblicata sui social media ebraici, ma, ricorda il Time, l’agenzia di spionaggio israeliana negli ultimi anni ha ucciso diversi iraniani tra scienziati nucleari e figure militari di spicco.

Nonostante il deciso negare del Governo di un qualsiasi ruolo di Israele nella morte di Raisi qualche dubbio sorge.

Soprattutto se gli analisti che hanno scartato tale possibilità di coinvolgimento sono stati in primis gli israeliani.

Solo due mesi prima dello schianto Teheran aveva lanciato circa 300 missili e droni verso Israele, il suo primo attacco diretto al territorio israeliano, come rappresaglia per un attacco israeliano in Siria che aveva ucciso due alti generali iraniani.

Un’altra delle campagne promosse con forza dagli account falsi ha proposto “Raisi come un eroe nazionale”, utilizzando gli stessi hashtag dei suoi sostenitori.

Account falsi sono stati coinvolti anche nei post che lo hanno criticato, ma gli sfoghi pubblici che celebravano la sua morte erano reali.

Le clip che mostravano le famiglie delle persone uccise dal regime mentre gridavano e ballavano di gioia, sono diventate più che imbarazzanti pericolose e insistenti tanto che la polizia ha proceduto agli arresti  di chiunque ritenessero aver “insultato” Raisi online.

Le autorità avrebbero potuto sperare che la morte di un presidente mentre svolgeva il suo dovere avrebbe suscitato un po’ di simpatia per la Repubblica islamica.

Ma, conclude il Time, “il divario tra regime e società sembra troppo profondo per essere colmato dalla morte di Raisi”.

A cura di Mario Garavelli

L'articolo “Il Mistero Raisi”: I dubbi sulla morte del presidente iraniano proviene da La voce del Trentino.

]]>
Gli arabi ci considerano poco? Meglio votare allora https://www.lavocedeltrentino.it/2024/06/06/gli-arabi-ci-considerano-poco-meglio-votare-allora/ Thu, 06 Jun 2024 13:27:31 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=462164 Gli arabi ci considerano poco? Meglio votare allora

La Geopolitica sta assumendo così crescente importanza da influire in modo tangibile sulle nostre vite, tanto che dovrebbe essere introdotta come materia essenziale già dalle scuole. Recentemente Federico Rampini, con Luttwak uno dei grandi studiosi geopolitici internazionali, ha fatto una lucida analisi e per certi versi sorprendente in rapporto ad un suo recente viaggio In […]

L'articolo Gli arabi ci considerano poco? Meglio votare allora proviene da La voce del Trentino.

]]>
Gli arabi ci considerano poco? Meglio votare allora

La Geopolitica sta assumendo così crescente importanza da influire in modo tangibile sulle nostre vite, tanto che dovrebbe essere introdotta come materia essenziale già dalle scuole.

Recentemente Federico Rampini, con Luttwak uno dei grandi studiosi geopolitici internazionali, ha fatto una lucida analisi e per certi versi sorprendente in rapporto ad un suo recente viaggio In Arabia Saudita.

Ciò che ha colto con soddisfazione lo stesso Rampini è il repentino progresso, specialmente in direzione della parità dei diritti, che stanno compiendo i sauditi sotto la guida di  fatto del principe ereditario Mohammed bin Salman, soprannominato MBS, designato da suo padre re Mohammed al-Saud.

Racconta Rampini che in Arabia, pur restando un paese lontano anni luce dalla democrazia, ha notato uno stravolgimento epocale rispetto al suo precedente viaggio non certo nella notte dei tempi, ma pochi anni fa.

Rampini nota, in primo luogo, l’assenza della polizia religiosa, che era solita imperversare con particolare severità quando non ferocia per le vie delle città saudite, e la libertà delle donne di potersi acconciare e vestire senza (quasi) prescrizioni di sorta.

Non solo ma le donne da qualche anno possono guidare, uscire da casa sole contrariamente a prima, quando dovevano essere sempre accompagnate o dal marito o da un parente maschio. E, sempre da sole, possono persino viaggiare all’estero.

E’ quasi un abbandono o meglio, un’interpretazione più logica delle rigide norme coraniche a favore di una maggiore libertà, non dettato solo da una improvvisa apertura mentale, ma sostanzialmente basandosi sui progressi sotto tutti gli aspetti compiuti dai Paesi del Golfo, Dubai in testa, una volta allentate le rigide norme di vita legate ai precetti coranici.

In tale confronto l’Arabia Saudita ha attivato una sorta di cambiamento di rotta che, in previsione dell’inevitabile esaurirsi delle scorte petrolifere, persegue l’obiettivo di attirare lo stesso turismo che offrono altri paesi arabi e maggiori investimenti da tutto il mondo.

Sul fronte meramente geopolitico l’Arabia Saudita ha inoltre ripreso stretti contatti con gli Stati Uniti che di fatto stanno fornendo un prezioso aiuto (anche italiano) volto a consentire i commerci navali nel Mar Rosso minacciati dai ribelli Houti.

Con Houti ed altri gruppi fanatici islamici i sauditi sono in perenne conflitto, subendone anche attentati di grave entità a partire da quello alla Grande Moschea della Mecca.

In precedenza, i sauditi avevano raffreddato i rapporti con gli Stati Uniti durante la Presidenza Obama, reo a loro avviso di aver favorito le rivolte nei paesi arabi, la cosiddetta Primavera araba, creando forte instabilità in larghe aree dei paesi islamici.

Instabilità che a mio parere crea più ansia ai Paesi Arabi che agli occidentali. Il cambiamento di rotta è notevole se solo pensiamo che fino a non molto tempo fa tempo fa ciò che i petrodollari finanziavano.

Per contro, l’Arabia Saudita pare consideri poco o nulla l’Europa Unita. Ne coglie il declino e la debolezza dal punto di vista geopolitico considerandola nulla più di un mero satellite degli Stati Uniti. Non si creda tale considerazione come isolata, l’idea è che sia generalmente diffusa un po’ ovunque al di fuori del Vecchio Continente.

Già solo questo basterebbe a dare motivo per votare e contribuire ad un cambiamento in grado di arginare sia l’abbassamento della reputazione con conseguente stallo economico e sociale.

Gli Stati Uniti, se Trump venisse eletto, in tutta probabilità applicheranno il tanto minacciato drastico taglio alle spese militari comuni, e non solo a quelle, tacendo sui dazi.

In merito alle spese militari c’è da fare una considerazione: il dissesto finanziario provocato dal superbonus ed in particolare i tanti miliardi collegati alla truffa del secolo sul 110% non hanno certo incrementato nei paesi europei l’idea di affidabilità del nostro Paese in merito alla sensatezza delle spese attuate con i fondi comunitari.

Una visione politica quasi univoca è quella di auspicare maggiori deleghe comunitarie per determinate spese. in primis quella militare, creando un unico centro di costo in conseguenza di un unico esercito.

Ciò sarebbe non solo una boccata d’ossigeno per l’Italia ma una efficace defibrillazione che farebbe ripartire il suo cuore, non solo quello economico.

Meglio non astenersi che sdegnarsi.

A cura di Mario Garavelli

L'articolo Gli arabi ci considerano poco? Meglio votare allora proviene da La voce del Trentino.

]]>
Una sola arma, per fermare la terza guerra mondiale: il voto https://www.lavocedeltrentino.it/2024/06/03/una-sola-arma-per-fermare-la-terza-guerra-mondiale-il-voto/ Mon, 03 Jun 2024 12:00:09 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=461490 Una sola arma, per fermare la terza guerra mondiale: il voto

Il presidente francese Emmanuel Macron, espressione perfetta della “laicità” francese, è da tempo il promotore in Europa non solo di un nichilismo morale inarrestabile, ma anche dello scontro sempre più violento con la Russia. Parla apertamente di inviare in Ucraina, oltre alle armi, anche uomini, dell’esercito francese o della Nato, ben sapendo che una simile […]

L'articolo Una sola arma, per fermare la terza guerra mondiale: il voto proviene da La voce del Trentino.

]]>
Una sola arma, per fermare la terza guerra mondiale: il voto

Il presidente francese Emmanuel Macron, espressione perfetta della “laicità” francese, è da tempo il promotore in Europa non solo di un nichilismo morale inarrestabile, ma anche dello scontro sempre più violento con la Russia.

Parla apertamente di inviare in Ucraina, oltre alle armi, anche uomini, dell’esercito francese o della Nato, ben sapendo che una simile scelta porterebbe alla Terza ed ultima guerra mondiale.

Queste continue dichiarazioni hanno probabilmente uno scopo: creare un’alleanza di “paesi volenterosi”, come quella promossa in passato dagli Usa in Irak, che possano condurre la guerra anche senza il consenso della Nato stessa, dal momento che lo statuto del Patto Atlantico non permetterebbe di entrare in conflitto per difendere un paese non aderente al patto medesimo.

Fatto sta che all’osservatore attento non sfugge che le probabilità di un conflitto atomico, anche a causa di queste reiterate provocazioni, diventano ogni giorno maggiori.

Il perché non è del tutto chiaro, ma è evidente che l’Ucraina appare un puro pretesto.

L’Inghilterra, fuori dall’UE, vede in questa guerra la possibilità di indebolire la vecchia Europa; gli Usa il modo per condurre una guerra per procura contro il nemico russo; la Francia, unico paese dell’UE ad avere l’atomica e a sedere come membro permanente nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, mentre si trova a vivere una crisi inarrestabile del suo imperialismo (a causa delle sollevazioni antifrancesi in Africa), cerca forse di rilanciare così il suo ruolo di (ex) potenza militare.

Ogni mese che passa -mentre l’Ucraina è sempre più al collasso- il mondo precipita verso la rovina, ma certamente qualche possibilità di fermare Napoleone-Marcon c’è ancora.

E passa anzitutto dalle prossime elezioni americane, ma anche da quelle europee, dove l’Italia può svolgere un ruolo decisivo, soprattutto se le forze di centro destra (Lega, FDI e Forza Italia), verranno premiate dagli elettori: è infatti evidente che in questa corsa alla guerra l’Italia si trova, come già in passato, in tutt’altra posizione. Non ha alcuna guerra santa contro la Russia da condurre, non ha aspirazioni imperiali, non ha né l’atomica né un forte esercito da schierare sul campo.

A ben vedere la vocazione del nostro paese alla pace è iscritta nella nostra storia: persino nelle due guerre mondiali siamo stati il paese che è entrato con un anno in ritardo (nel 1915 anziché nel 1914; nel 1940 anziché nel 1939), e sempre con un’opinione pubblica contraria.

Oggi abbiamo un PD del tutto prono ai voleri americani, francesi ed inglesi, pronto a seguire senza indugi i voleri della Nato e di Macron, e un centro destra che per quanto possibile, senza dimenticare la realpolitik (difficile opporsi nello stesso tempo a Ursula e Biden e rimanere in piedi), sta criticando aspramente, per bocca di Salvini, Meloni, Tajani e persino Crosetto, le fughe in avanti di Macron e di Stoltenberg. Come è accaduto, del resto, in passato, con la guerra alla Serbia e quella, ancora più disastrosa in Libia (con il PCI-PD super favorevole e i partiti di centro destra a frenare).

L’Italia governata dalla Dc e poi quella di Berlusconi hanno cercato di dare all’Italia un ruolo di mediazione, sia verso i paesi del mediterraneo, che verso la Russia, ricordando il detto di Giulio Andreotti: “vi sono due modi di essere alleati degli americani, sull’attenti o amichevolmente: noi seguiamo la seconda strada”.

La sinistra, un tempo servile verso Mosca, appare invece, oggi, del tutto succube delle scelte di Washington, tanto più con la segreteria di Elly Schlein, che nell’America di Obama e Biden ha mosso i suoi primi e decisivi passi politici.

Ma tornando a Macron e al suo protagonismo bellicoso, vi sono due partiti italiani, Azione di Carlo Calenda e Stati Uniti d’Europa di Matteo Renzi e di Emma Bonino, che fanno esplicitamente riferimento al presidente francese, e che ogni giorno incalzano il governo per spingerlo verso posizioni di maggior chiusura e conflitto con Mosca, cercando di tagliare tutte le vie possibili alla diplomazia.

In un simile panorama, un voto contro il PD e contro i due partiti macroniani, è, tra le altre cose, l’unico atto che un cittadino può compiere per dire la sua a favore della pace, e per scongiurare un’escalation che in troppi sembrano desiderare.

Si calcola che se Azione e Stati Uniti d’Europa rimarranno sotto il 4 %, non avranno eletti e il partito europeo di Macron, Renew Europe, perderà tra gli 8 e i 9 seggi.

Gli italiani, invece, ne guadagneranno qualche possibilità in più per la pace.

L'articolo Una sola arma, per fermare la terza guerra mondiale: il voto proviene da La voce del Trentino.

]]>
Wanted Netanyahu: ora che succederà? https://www.lavocedeltrentino.it/2024/06/03/wanted-netanyahu-ora-che-succedera/ Mon, 03 Jun 2024 05:09:42 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=461064 Wanted Netanyahu: ora che succederà?

La Corte Penale Internazionale ha emesso i mandati d’arresto contro i leader israeliani e di Hamas. Ora che succederà?  La decisione del Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) Karim Khan di spiccare mandati d’arresto per alcuni tra i principali leader israeliani, tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant, […]

L'articolo Wanted Netanyahu: ora che succederà? proviene da La voce del Trentino.

]]>
Wanted Netanyahu: ora che succederà?

La Corte Penale Internazionale ha emesso i mandati d’arresto contro i leader israeliani e di Hamas. Ora che succederà? 

La decisione del Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) Karim Khan di spiccare mandati d’arresto per alcuni tra i principali leader israeliani, tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant, secondo i principali media statunitensi come Time e Guardian è di una gravità senza precedenti.

Certo, la CPI non si è fermata ai leader israeliani, ha spiccato mandati d’arresto per crimini di guerra contro l’umanità anche per tre leader di spicco di Hamas.

Però la velocità con cui Francia Belgio e Slovenia hanno espresso sostegno alla decisione del Tribunale per i Crimini di Guerra lascia perlomeno sconcertati.

Sconcertati lo sono per primi gli israeliani tanto che il loro ministro degli Esteri si è recato in Francia per cercare di capire come contenere le ricadute della decisione presa dal procuratore della CPI.

Stando alle motivazioni della Corte, la decisione è il risultato di un’indagine indipendente e imparziale, guidata dall’obbligo di indagare equamente sulle prove incriminanti.

Premesso che la richiesta d’arresto dovrà essere prima passata al vaglio di tre giudici sorteggiati ed in particolare quelli provenienti da Romania, Benin e Messico, e non è quindi garantito che l’emissione dei mandati sia attuata, l’accusa resta comunque grave. Talmente grave da mettere sotto pressione lo stesso procuratore Khan da parte degli Stati Uniti e di Israele.

Non solo, secondo il Time una dozzina di senatori hanno scritto al procuratore avvertendolo di non prendere di mira Israele per non incorrere in… “problemi”.

Critiche feroci sono state espresse anche dal primo ministro israeliano che ha definito la decisione un oltraggio di proporzioni storiche.

Cosa succederà quindi con il rilascio dell’autorizzazione ai mandati?

Per prima cosa dai viaggi dei leader israeliani e di Hamas verranno preclusi i paesi sotto la giurisdizione della Corte penale Internazionale

E tali paesi non sono pochi, sono 124, i quali sottoscrivendo lo statuto di Roma, hanno di fatto l’obbligo di consegnare coloro sui quali pende il mandato d’arresto se mettono piede sul territorio degli aderenti al Trattato.

In pratica tali paesi includono, con l’eccezione degli Stati Uniti, la maggior parte dell’emisfero occidentale, come Europa, Oceania e parti dell’Africa e dell’Asia.

Va considerato che i leader israeliani spesso si spostano nelle capitali occidentali che rientrano nella giurisdizione della Corte penale internazionale.

Ne consegue che tale decisione è altamente penalizzante per la politica estera di Israele. Basti  solo pensare che tra i leader colpiti da mandato d’arresto c’è anche Vladimir Putin, il quale ha dovuto cancellare in fretta e furia un viaggio già programmato in Sudafrica nel luglio del 2023.

Per contro tale mandato d’arresto ha scarso effetto sui leader di Hamas, i quali, quando non sono nascosti a Gaza e ricercati attivamente da migliaia di soldati israeliani, risiedono in Qatar e altri paesi islamici.

E i Paesi del Golfo, Qatar compreso, non sono firmatari del trattato di Roma.

Va detto infine che il lavoro del Procuratore Internazionale non è ancora concluso, e per sua stessa ammissione potrebbe far scaturire ulteriori mandati d’arresto, legati in particolare alle numerose violenze sessuali seguite da omicidi commesse da Hamas.

Secondo Hamas i palestinesi uccisi dagli attacchi israeliani, a partire dal 7 ottobre scorso sarebbero almeno 35.000. Cifra ritenuta abbastanza credibile, nonostante la reputazione della fonte, dalle Nazioni Unite e persino dagli Stati Uniti.

La ricostruzione storica, in questi anni terribili e scellerati, sarà molto complessa, tenendo conto che la disinformazione si è fatta scienza.

L'articolo Wanted Netanyahu: ora che succederà? proviene da La voce del Trentino.

]]>
Trump condannato e tutti preoccupati. Tranne lui https://www.lavocedeltrentino.it/2024/06/01/trump-condannato-e-tutti-preoccupati-tranne-lui/ Sat, 01 Jun 2024 05:37:19 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=461146 Trump condannato e tutti preoccupati. Tranne lui

Non si può certo dire che questo nuovo secolo non riservi una sorpresa dietro l’altra, per buone o cattive che siano.  E tra le “sorprendenti” sorprese non possiamo escludere la condanna appena comminata a Donald Trump. È la prima volta che in 250 anni di storia americana un presidente degli Stati Uniti viene condannato per uno […]

L'articolo Trump condannato e tutti preoccupati. Tranne lui proviene da La voce del Trentino.

]]>
Trump condannato e tutti preoccupati. Tranne lui

Non si può certo dire che questo nuovo secolo non riservi una sorpresa dietro l’altra, per buone o cattive che siano.  E tra le “sorprendenti” sorprese non possiamo escludere la condanna appena comminata a Donald Trump.

È la prima volta che in 250 anni di storia americana un presidente degli Stati Uniti viene condannato per uno o più reati.

Sulla carta Trump rischia il carcere, anche se esperti di giustizia americana ritengono che molto probabilmente i giudici si accontenteranno di una multa.

Va ricordato che l’ex presidente è sotto processo in altre tre cause penali. Come riporta il Washington Post sono 54 i capi d’accusa che attendono un verdetto.

Trump attacca senza farsi troppi problemi il sistema giudiziario compresi i giudici che lo hanno condannato e, a quanto pare, è in buona compagnia con qualche milione di suoi sostenitori, qualcuno di essi anche inquietante dal momento che sono comparse bandiere con la scritta “O Trump o Morte”.

Il magnate si gioca tutto nei prossimi mesi, dal momento che il giudice gli ha comunque concesso di poter proseguire la sua corsa per la Casa Bianca, e visto che è in vantaggio su Biden e abituato a rimonte clamorose (ne sa qualcosa la Clinton), ha buone speranze di essere rieletto.

Gli americani e parte dell’opinione pubblica, che solitamente non perdonano chi li rappresenta politicamente se commette dei reati, stavolta (almeno la metà degli elettori, stando ai sondaggi) sembra morbida nei confronti dell’ex presidente.

Non solo, ma i suoi portavoce informano che, dopo la condanna, la raccolta fondi per la rielezione di Trump in un baleno ha avuto un’impennata straordinaria con ben 35 milioni di dollari in donazioni online.

Di sicuro un’involontaria pena accessoria può essere ben rappresentata dal precipitare delle azioni delle società dei social media di Trump subito dopo il verdetto di colpevolezza, e all’ex presidente è stato momentaneamente vietato vendere le sue partecipazioni.

Non morirà di fame dal momento che la sua quota vale circa quattro miliardi di dollari.

Inoltre pare si sia ripreso bene dopo il verdetto, quando ha saputo della quantità record di denaro pervenuto dalle donazioni per la sua campagna elettorale.

Trump è sicuro che il processo sia stato una sorta di truffa, un complotto contro di lui, e farà appello (era scontato).

In una intervista a caldo si sarebbe lamentato del fatto che non gli era stato permesso avere testimoni, di poter replicare, e in genere di non poter fare nulla perché a suo dire il giudice era pressoché un tiranno.

Evidentemente non è troppo preoccupato circa la suscettibilità dei giudici, così come della possibilità di non essere eletto e di riflesso, giuridicamente parlando, non riuscire a salvarsi la pelle.

Se è così, a proposito di presunte ingiustizie va di pari passo con quanto affermano i sostenitori di chi potete immaginare, solo che ha avuto a disposizione qualche milione di dollari in meno per poterlo dimostrare.

Secondo la BBC, Biden consentirà all’Ucraina di colpire la Russia con missili statunitensi “a scopo di coprifuoco”, Trump per contro si prepara in caso di vittoria a sparare i suoi di missili, ad esempio (sostiene il Wall Street Journal) destinando il posto di consulente della Casa Bianca per la sicurezza delle frontiere e dell’economia a Elon Musk.

Musk, tecnocrate miliardario, ha idee rivoluzionarie quanto quelle di Trump, e non solo scientifiche.

Un missile estremamente pericoloso per Biden, e non sarà l’unico.

 

L'articolo Trump condannato e tutti preoccupati. Tranne lui proviene da La voce del Trentino.

]]>
Influencer in mimetica: quando la guerra non si fa solo con i cannoni https://www.lavocedeltrentino.it/2024/05/31/influencer-in-mimetica-quando-la-guerra-non-si-fa-solo-con-i-cannoni/ Fri, 31 May 2024 13:04:06 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=461045 Influencer in mimetica: quando la guerra non si fa solo con i cannoni

Una delle persone più importanti in Israele, in questo momento, è un addetta stampa militare di 22 anni. Ci si affida a lei per tentare di giustificare le operazioni militari dell’Esercito. Negli ultimi tempi Masha Michelson è diventata il volto mediatico delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), e sui social media è così seguita da diventare […]

L'articolo Influencer in mimetica: quando la guerra non si fa solo con i cannoni proviene da La voce del Trentino.

]]>
Influencer in mimetica: quando la guerra non si fa solo con i cannoni

Una delle persone più importanti in Israele, in questo momento, è un addetta stampa militare di 22 anni. Ci si affida a lei per tentare di giustificare le operazioni militari dell’Esercito.

Negli ultimi tempi Masha Michelson è diventata il volto mediatico delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), e sui social media è così seguita da diventare suo malgrado un influencer di successo.

Pur senza addestramento al combattimento, Michelson ha seguito le truppe israeliane a Gaza per documentare la guerra dal loro punto di vista.

Tra i numerosi servizi, Michelson, in mimetica e giubbotto antiproiettile, ha filmato di notte i tunnel sotto l‘ospedale Al-Shifa a Gaza City, offrendo prova evidente, così almeno sembra, di uno dei centri di comando terroristico sotterraneo di Hamas.

Ha filmato depositi di armi usate dai terroristi, ed ha postato video su video, utilizzando gli account dell’IDF, su TikTok, Instagram e X,  e varie altre piattaforme utilizzate in prevalenza dalla gioventù israeliana che si sta sempre più ribellando contro la guerra.

Ed è capibile vista l’obbligatorietà della leva militare.

Secondo Michelson, intervistata dal TIME, ” Nel rivolgersi al mondo e documentare, è più probabile che ascoltino qualcuno che gli somiglia”.

Ma se il mondo può anche ascoltare, convincere le persone è tutt’altra cosa, conclude il TIME.

Israele, nei giorni precedenti l’esplorazione e documentazione dei tunnel di Michelson,  aveva terminato l’assedio di Al-Shifa, durato giorni.

Assedio che ha costretto migliaia di pazienti malati e feriti, nonché i medici e gli infermieri che si prendevano cura di loro, a evacuare la struttura, provocando, secondo quanto riferito, la morte di almeno sei bambini prematuri.

Per coloro che criticano Israele, è stato l’ennesimo esempio del costo in vite innocenti della sua offensiva.

Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas (e quindi attendibile quanto Hamas) Il bombardamento durato mesi ha ucciso almeno 20.000 persone tra civili e combattenti.

I palestinesi sfollati dalle loro case sarebbero più di due milioni.

La conseguente crisi umanitaria ha avuto un effetto domino rendendo l’enclave costiera assediata quasi inabitabile.

E ci mancava anche la rottura del costosissimo pontile di approdo costruito dagli americani per velocizzare gli aiuti umanitari.

Per Israele e i suoi sostenitori, le vittime civili rappresentano il prezzo tragico ma inevitabile da pagare per la sicurezza dello Stato-Nazione creato dopo l’Olocausto nazista, con il ritorno degli ebrei nella loro patria ancestrale.

Hamas ricordiamoci, si è infiltrato in Israele il 7 ottobre, uccidendo 1.200 persone tra cui bambini e anziani, prendendo centinaia di ostaggi e commettendo atrocità inaudite, tra quali, orribile dirlo, lo stupro può essere annoverato tra le meno peggio, il che rende una reazione degli israeliani più che comprensibile.

Ma forse nemmeno gli israeliani si aspettavano un attacco sterminatore di tale portata, anche se Netanyahu aveva avvertito che si sarebbero viste cose come mai prima d’ora.

Ha mantenuto la promessa.

Stando a quanto ripetono i suoi leader, Israele sta facendo tutto il possibile per evitare la morte di innocenti, ma ciò è inevitabile in quanto le forze di Hamas usano praticamente l’intera popolazione di Gaza, compresi quelli negli ospedali, come scudi umani.

Yaakov Amidror, ex generale dell’IDF ritiene impossibile combattere Hamas senza causare vittime civili, e aggiunge che senza distruggere Hamas, come sostiene anche la leadership israeliana, “si condanna il paese a ulteriori massacri e si manda il messaggio alle altre potenze ostili nella regione, come l’Iran, che il terrorismo funziona”.

Per contrastare la crescente perdita di sostegno globale Israele mette in campo, accanto ai carrarmati tutta una serie di iniziative.

Un’operazione crescente per convincere l’intero mondo che la battaglia che Israele sta combattendo è una battaglia per la propria sopravvivenza e che l’IDF sta facendo il possibile per evitare vittime civili.

Non ci sono solo i messaggi sui social media della portavoce Michelson.

L’ufficio per le comunicazioni internazionali dell’IDF si è ingigantito a dismisura arrivando a contare più di 200 persone.

L’IDF stesso ha accompagnato giornalisti e sostenitori di spicco, come Elon Musk, compreso un nutrito gruppo di influencer di TikTok, a visitare i kibbutz attaccati da Hamas, che ora sono diventati la testimonianza dei nuovi campi di sterminio degli ebrei.

La visita ai kibbutz della morte era già iniziata tre giorni dopo la strage di Hamas, quando i funzionari israeliani avevano accompagnato i giornalisti internazionali al Kibbutz Kfar Aza, dove Hamas ha sterminato più di 50 persone.

Ricorda Anshel Pfeffer, un reporter che scrive per The Economist che il sito era ancora una fresca scena del crimine, con cadaveri ovunque: vittime israeliane avvolte in sacchi per cadaveri, combattenti di Hamas che giacevano dove erano caduti, case macchiate di sangue, e alcune ancora piene di corpi mutilati e resti carbonizzati di vittime bruciate vive. 

E questo, nella speranza di ricordare al mondo la portata e la depravazione feroce dell’attacco del 7 ottobre.

Non solo, Il governo israeliano sta spendendo milioni di dollari in campagne pubblicitarie online su piattaforme che vanno da YouTube al popolare gioco online Angry Birds, mentre le ambasciate israeliane presenti nel mondo continuano a proiettare per giornalisti e politici un video di 43 minuti sulle atrocità di Hamas, in gran parte filmato dalle telecamere dei terroristi.

La controffensiva mediatica non si è fatta attendere.

I social media sono inondati di scene strazianti di morte e distruzione da parte di Israele, che hanno conquistato un vasto pubblico con le testimonianze oculari e in presa diretta della guerra.

Video e immagini amplificate da simpatizzanti di Hamas e dettagliati resoconti cinesi, russi e iraniani.

Secondo l’Institute for Strategic Dialogue di Londra, che monitora la disinformazione online, ciò ha creato un’ondata di antisemitismo globale, dai campus universitari alle stanze del potere di molti Stati, cercando così di screditare e negare le preoccupazioni di Israele in merito alla sua sicurezza.

Benjamin Netanyahu non ha certo favorito simpatie verso la nazione che guida, paragonando sforzo bellico alla storia biblica di Amalek, quando Dio dice al re Saul di uccidere ogni persona, comprese donne e bambini, nella nazione rivale dell’antico Israele.

La pace soffre di un’impasse anche mediatico quindi, ma i morti purtroppo non sono virtuali.

L'articolo Influencer in mimetica: quando la guerra non si fa solo con i cannoni proviene da La voce del Trentino.

]]>
È il declino dell’impero Americano? E l’Europa? https://www.lavocedeltrentino.it/2024/04/29/e-il-declino-dellimpero-americano-e-leuropa/ Mon, 29 Apr 2024 05:18:09 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=455026 È il declino dell’impero Americano? E l’Europa?

Esiste un interessante studio sviluppato dalla Harvard Kennedy University, che racconta alcuni aspetti inediti, specialmente per noi occidentali, percezione che hanno i cittadini statunitensi sull’effettivo potere degli USA rispetto al resto del mondo. Gli americani sono preoccupati per quello che temono essere l’imminente declino USA, ma in verità lo sono un po’ da sempre, e […]

L'articolo È il declino dell’impero Americano? E l’Europa? proviene da La voce del Trentino.

]]>
È il declino dell’impero Americano? E l’Europa?

Esiste un interessante studio sviluppato dalla Harvard Kennedy University, che racconta alcuni aspetti inediti, specialmente per noi occidentali, percezione che hanno i cittadini statunitensi sull’effettivo potere degli USA rispetto al resto del mondo.

Gli americani sono preoccupati per quello che temono essere l’imminente declino USA, ma in verità lo sono un po’ da sempre, e non solo ottant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Nel 1600, dopo aver fondato la prima colonia nella Baia del Massachussetts, i puritani già si lamentavano di un declino morale, (quello economico era ancora in sviluppo).

Nel 1700, paragonandolo alla storia di Roma, i padri fondatori degli odierni USA, si preoccupavano per quello che ritenevano un repentino declino della nuova Repubblica.

Nel 1800 Dickens osservava come i cittadini americani fossero sempre sull’orlo di una allarmante crisi di nervi per il declino del loro paese.

Lo studio di Harvard si concentra sul problema della effettiva capacità statunitense di avere un controllo competo delle situazioni. A differenza di quanto avviene nel mito immaginario di superpotenza che condiziona le opinioni di gran parte del mondo.

Alcuni episodi citati di “declinismo” si possono osservare a partire dall’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica nel 1956, la sconfitta francese in Indocina alla quale seguirà quella americana per sfinimento e sottovalutazione, la presa di Suez da parte degli alleati Europei e Israele bypassando gli Stati Uniti.

Il Declinismo agisce quindi sulla psicologia popolare più che le attente forbite e spesso controverse e contraddittorie analisi geopolitiche degli esperti.

E la psicologia popolare fa gola ai politici.

Ci prova e ci ha provato con successo Trump con lo slogan votato a rendere l’America di nuovo grande, ci prova Biden che promette un futuro luminoso, ma i cittadini restano scettici e comunicano ai sondaggisti la loro ansia per un declino che appare inevitabile e la repentina perdita di status di Superpotenza in grado di influenzare la politica estera mondiale. (per fare un esempio gli USA nel 1945 rappresentavano metà dell’economia mondiale, nel 1970 erano già ad un quarto, e più o meno tale è rimasto finora grazie alle politiche sul dollaro attuate da Nixon di sganciarlo dall’oro effettivo e sue fluttuazioni. (Se lo poteva permettere.).

Quest’ansia da declino può portare a due diverse scelte politiche preminenti, e ben rappresentate dai candidi in corsa per le Presidenziali.

Trump si ritiene punterà come ha già in parte fatto ad una chiusura degli Stati Uniti su sé stessi, con politiche protezioniste e accrescendo il sentimento nazionalista, disinteressandosi della politica estera e lasciando che le nazioni si autodeterminino o si distruggano senza ingerire nelle loro scelte.

Biden probabilmente punterà all’opposto, cercando di rafforzare la capacità e il potere americano di influenzare le scelte di alleati e nemici. Ma è una politica che può portare a gravi danni, anche economici, con il rischio di isolare gli USA anche più di quello che non tenda a fare Trump.

Il secolo americano è dunque finito e tornerà alla memoria la foto di un’importante rivista americana che raffigurava in copertina la Statua della Libertà in lacrime?

Secondo il libro “A Life in the American Century” di Joseph S. Nye jr. non sarà così, anche se il primato americano sarà diverso da quello del ventesimo secolo.

Secondo Nye, il pericolo non risiede nel fatto che la Cina supera gli Stati Uniti, ma che la necessità di mantenere il potere possa portare al disequilibrio del sistema interno e relativo stallo.

La Cina è un concorrente impressionante, ma secondo Nye anche debole.

Con una analisi interessante e lucida Nye spiega che gli Stati Uniti hanno almeno cinque vantaggi che possono determinare l’equilibrio generale del potere:

Uno è geografico. Gli Stati Uniti sono circondati da due oceani e due vicini amichevoli, mentre la Cina condivide un confine con altri quattordici paesi ed è impegnata in dispute territoriali con diversi di loro, (Taiwan in testa).

Gli Stati Uniti hanno energia, mentre la Cina dipende dalle importazioni.

Terzo: gli Stati Uniti hanno grandi istituzioni finanziarie transnazionali e traggono potere da loro e dal ruolo internazionale del dollaro, valuta di riserva credibile, liberamente convertibile, nonché nei mercati dei capitali.

Il quarto vantaggio è dato dallo stato di diritto che vige in USA e che manca alla Cina.

Infine, gli Stati Uniti hanno anche un relativo vantaggio demografico in quanto unico grande paese sviluppato che attualmente si prevede manterrà il suo posto (terzo) nella classifica della popolazione globale, evitando la contrazione della forza lavoro prevista nel prossimo decennio.

Va inoltre aggiunto che gli Stati Uniti, pur essendo stata affiancata dalla Cina nello sviluppo dalle tecnologie chiave (bio, nano, e informatica), possiede università di ricerca all’avanguardia, molto più avanzate di quelle cinesi.

Alcuni di questi fattori li possiede anche l’Italia e così l’Europa Unita, ed altri si possono recuperare.

Basterebbe solo pensare che l’Europa Unita non sia una mera etichetta ma lo sia realmente, senza cadere nel declino senza aver nemmeno attraversato la storia a differenza degli Stati Uniti, che uniti lo sono sul serio.  

A cura di Mario Garavelli

 

 

L'articolo È il declino dell’impero Americano? E l’Europa? proviene da La voce del Trentino.

]]>
Ecco l’Agenda di Trump sull’Istruzione https://www.lavocedeltrentino.it/2024/04/17/ecco-lagenda-di-trump-sullistruzione/ Wed, 17 Apr 2024 14:38:20 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=453314 Ecco l’Agenda di Trump sull’Istruzione

“È giunto il momento di rivendicare le nostre istituzioni educative, un tempo grandi, dalla sinistra radicale, e lo faremo. La nostra arma segreta sarà il sistema di accreditamento universitario”. (Donald Trump) Tutti, non solo negli Stati Uniti nutrono un’ansia latente su cosa ne sarà delle istituzioni se Trump ricevesse un secondo mandato. Le premesse di […]

L'articolo Ecco l’Agenda di Trump sull’Istruzione proviene da La voce del Trentino.

]]>
Ecco l’Agenda di Trump sull’Istruzione

“È giunto il momento di rivendicare le nostre istituzioni educative, un tempo grandi, dalla sinistra radicale, e lo faremo. La nostra arma segreta sarà il sistema di accreditamento universitario”. (Donald Trump)

Tutti, non solo negli Stati Uniti nutrono un’ansia latente su cosa ne sarà delle istituzioni se Trump ricevesse un secondo mandato.

Le premesse di fuochi d’artificio, non solo innocui, ci sono tutte, ad esempio il mondo accademico è estremamente preoccupato per le promesse di Trump di sostituire ad un sistema di accreditamento intellettualmente aperto ad uno più filoamericano, anche installando un regime fiscale punitivo contro le scuole più libertarie e autonome dai dettami di Washington.

Secondo il TIME, i college e le università tendono ad essere luoghi lontani dal trumpismo e maggiormente accoglienti verso il pensiero democratico, spazi sicuri e al riparo da presunte derive populiste nel senso pericoloso del termine. Ora i leader universitari si sentono sotto minaccia.

In breve, Trump nel precedente mandato ha emanato norme che ai più sono sembrate un attacco al libero pensiero.

Senza indugiare sul restringimento giuridico della definizione di violenza sessuale nei campus conferendo più ampie garanzie giuridiche per gli accusati di violenza sessuale, ricordiamo che nelle intenzioni Trump ha limato fondi alle università più impegnate, ha reso difficile per gli studenti stranieri frequentare i campus statunitensi, ha correlato i dollari per la ricerca ad un aumentato diritto di libertà del pensiero conservatore.

Ha considerato una truffa la riforma Obama ed ha minacciato l’esenzione fiscale dei college delegando al Tesoro di indagare sugli sforzi di indottrinamento nei campus.

Ha semplificato la parificazione delle università online e a scopo di lucro rendendole istituzioni a pieno titolo.

Le principali istituzioni accademiche hanno visto come la precedente agenda di Trump sia andata contro la loro, e nella campagna elettorale del 2024 l’ex-presidente promette un atteggiamento ancora più aggressivo contro i principi fondamentali del mondo accademico e persino contro la loro sopravvivenza.

E una guerra aperta con il trumpismo, in vista di un potenziale suo imminente ritorno alla Casa Bianca è una guerra che il mondo accademico non può vincere.

Secondo Michael Itzkowitz, vicecapo dello staff per l’ufficio per l’istruzione superiore presso il Dipartimento dell’Istruzione dell’era Obama un secondo mandato di Trump potrebbe significare un disastro per coloro che hanno a cuore il successo degli studenti. “Un secondo mandato di Trump apre le porte a cattive politiche e istituzioni scadenti.

Il TIME paventa che se Trump dovesse vincere di nuovo, riconquisterebbe un enorme potere sulle università del paese per altri quattro anni e lascerebbe la sua impronta sui laureati per molto più tempo. 

Questo considerando oltretutto che la ristrutturazione dei prestiti studenteschi del 2013 ha ridotto la quota dei finanziatori privati ​​nel mercato dell’istruzione di grado superiore solo al 13%, distribuendo la maggior parte del debito studentesco sul registro federale dando quindi al Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti una flessibilità senza eguali, spesso in merito all’equità.

L’Ufficio per i diritti civili del dipartimento è spesso considerato la seconda più grande agenzia secondaria di questo tipo in tutto il governo, con un elenco di cose da fare che tocca tutto, dai programmi delle lezioni, agli sport scolastici, dai bagni, al bullismo e alla spesa equa, dalla scuola materna alla laurea. 

In sostanza sembrerebbe che se le università e i loro studenti vogliono contanti, devono rispettare alcuni editti governativi.

Un rapporto pubblicato lo scorso anno, evidenzia come più della metà dei 90 miliardi di dollari di spesa accademica totale annua per la ricerca e lo sviluppo nel paese provengono dal bilancio federale, ed è la linfa vitale delle principali università e dei college di arti liberali.

L’agenda del secondo mandato di Trump comprende una serie di idee contro le quali i dirigenti di alto livello si stanno già preparando.

I “Consigli di accreditamento” del sistema federale statunitense sono una delle garanzie più ampiamente rispettate contro le organizzazioni inaffidabili che mirano a truffare studenti e contribuenti.

La Trump University, ad esempio, non è mai stata accreditata e quindi dichiarata non idonea a ricevere aiuti o finanziamenti federali agli studenti, e in base a un accordo doveva rimborsare 21 milioni di dollari ai partecipanti che avevano denunciato frode e 4 milioni di dollari all’ufficio del procuratore generale di New York.

Come ha reagito Trump? Ha promesso di licenziare gli accreditatori esistenti e di ordinare al suo Dipartimento dell’Istruzione di considerare solo i verdetti dei suoi revisori preferiti, presumibilmente punendo le università d’élite e premiando le fabbriche di titoli di destra.

Oltre a ciò, Trump ha chiesto alle università di di prevedere un curriculum studi che promuova la tradizione americana e la civiltà occidentale”.

E ha promesso di eliminare “fanatici radicali e marxisti” dal Dipartimento dell’Istruzione, anzi ha promesso l’inverosimile: abolire completamente il Dipartimento dell’Istruzione.

L’idea più audace di Trump è un’Accademia nazionale americana, un’università online gratuita, che rilasci titoli di studio completi, che costituirebbe una zavorra contro le università che ritiene troppo intellettualizzate.

Un simile sforzo sarebbe insostenibile anche in un Congresso controllato dai repubblicani; semplicemente non è possibile finanziare il progetto “tassando, multando e facendo causa” ai rivali esistenti.

Anche il comitato editoriale conservatore del Wall Street Journal l’ha definita una pessima idea.

Un unico programma di studio nazionale è follia anche per la maggior parte dei conservatori, e per i democratici come l’ennesima agenda di indottrinamento “Make America Great Again”.

Michael Brickman uno dei principali consiglieri del sottosegretario all’Istruzione durante gli anni di Trump afferma: Non penso che molte persone stiano facendo piani seri affinché il governo federale avvii un’università. Ci sono molte altre cose da fare”.

Alla luce di tutto questo cosa dobbiamo aspettarci dal momento che l’istituzione universitaria statunitense sotto più aspetti è comunque interfacciata in qualche modo con quella Europea?

A nostro avviso nulla di particolarmente eclatante.

Trump è “una vecchia volpe, la maggioranza del suo elettorato è composta da cittadini che la sua squadra chiamava: “quelli con un’istruzione molto scarsa”, e Trump nel 2016 aveva un vantaggio di ben sette punti su tutti gli elettori senza istruzione universitaria.

Persone di ceto medio o basso delle quali Trump ha alimentato il livore verso quella classe radical-chic e molto snob che imperversa nei campus in prevalenza ad indirizzo umanistico e come opinion leader nel rivendicare diritti che spesso ignorano le problematiche degli elettori di Trump.

Sovviene da pensare che Trump si attenga a due principi che hanno fatto storia, ovvero cambiare tutto perché nulla cambi e che il fine giustifica i mezzi.

Sarà pure spregiudicato, ma ha già vinto una volta delle elezioni che lo vedevano deriso solo per essersi candidato.

L'articolo Ecco l’Agenda di Trump sull’Istruzione proviene da La voce del Trentino.

]]>