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Il Miramondo

“Il Mistero Raisi”: I dubbi sulla morte del presidente iraniano

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Fino a 10 anni fa lo scomparso Presidente iraniano Ebrahim Raisi, precipitato il 19 maggio scorso con il suo elicottero, era quasi sconosciuto alla popolazione.

Quando la questione della successione di Khamenei sembrava imminente Raisi era salito rapidamente nella classifica dei (per così dire) papabili.

Secondo più voci raccolte dai media americani la Guida Suprema avrebbe già programmato che la successione spetterà a suo figlio, Mojtaba Khamenei.

In base a questo, molti osservatori hanno colto quasi con sorpresa i modi tranquilli e per nulla preoccupati di Khamenei durante il suo discorso poche ore dopo la scomparsa dell’elicottero di Raisi.

Khamenei pur pregando per il suo ritorno sano e salvo, ha anticipato che “il popolo dovrà essere fiducioso in merito al fatto non ci saranno disturbi negli affari di Stato”.

Non significa nulla, ma la morte di Raisi suscita più di un interrogativo, e siamo andati a cercarne le risposte nei sempre ben informati media americani, ad iniziare da Time.  Vediamo perché:

Partiamo dalla presenza dei passeggieri sull’apparecchio presidenziale che dovevano essere nove, tra cui due guardie del corpo, ma di corpi ritrovati ne risultavano solo otto.

Il mistero è stato svelato solo quattro giorni dopo, un’eternità inspiegabile.

Il presunto nono passeggiero, la guardia Javad Mehrabl viene visto disperarsi al corteo funebre di Raisi.

Secondo la stampa sembra che all’ultimo minuto, il suo capo, Mehdi Mousavi, lo aveva spostato dall’elicottero presidenziale ad uno degli altri due del convoglio.

Dopo la morte di Mousavi suo padre dichiarava alla televisione di Stato iraniana di essere stato certo che suo figlio non sarebbe tornato da questo viaggio. E lo spiega così:

“La sera prima del viaggio Mehdi è venuto a trovarci. Ha salutato ed è salito in macchina, ma è tornato ed è rimasto 20 minuti. Poi se n’è andato, ma dopo un breve viaggio in auto è tornato di nuovo e ha trascorso altri 10 minuti con noi. La terza volta, quando mi ha salutato, ha baciato sua madre, ha baciato i piedi di sua madre, ha baciato me, e poi si è chinato e ha baciato i miei piedi. È stato allora che ho capito che se ne sarebbe andato e non sarebbe mai più tornato, sapevo che non ci saremmo mai più incontrati”.

A tali profetiche premonizioni della guardia Mousavi i media iraniani sembra abbiano sbrigativamente attribuito tali presagi, dopo il racconto del padre, alla grande devozione del figlio. Come dire: chi ha fede prevede.

Mousavi faceva parte di un’unità d’élite delle Guardie Rivoluzionarie islamiche, corpo militare creato nel 1979 per sostituire l’esercito iraniano dello Scià dopo l’avvento del governo teocratico di Khomeini.

L’unità speciale di Mousavi, la Sepah Ansar al-Mahdi, è responsabile della sicurezza personale degli alti funzionari del regime, ed i suoi membri portano con sé particolari telefoni appositamente attrezzati per comunicazioni sicure e tracciamento della posizione, e il dispositivo di Mousavi sarebbe di certo stato essenziale per localizzare subito l’elicottero, precipitato non lontano dal confine iraniano con l’Azerbaigian.

Eppure, i primi soccorritori sarebbero arrivati ben 16 ore dopo.

Sembra che il transponder su un apparecchio che trasportava gli alti funzionari fosse stato spento per paura di essere rintracciato da governi ostili.

Forse è stata usata la stessa precauzione per i telefoni speciali delle Guardie?

Non vi sono, almeno per ora, sospetti sull’ Unità Sepah, al funerale di Raisi e delle altre vittime, i Guardiani della Rivoluzione del Sepah schierate dietro la Guida Suprema Ali Khamenei erano quasi due terzi dei presenti.

Ma le domande sull’accaduto persistono.

Dopo lo schianto dell’elicottero presidenziale un passeggero era sopravvissuto con ancora l’energia per recuperare il cellulare del pilota che continuava a squillare, e ha cercato con la forza della disperazione di descrivere l’area, ma è morto durante la lunga attesa dei soccorsi.

Secondo la stampa le ricerche non sono state tempestive a causa della scarsa copertura del cellulare.

Il capo di gabinetto di Raisi, che volava su un altro elicottero ha dichiarato che il pilota del presidente poco prima dello schianto ordinava agli altri elicotteri di salire di quota fin sopra le nuvole.  

Il suo pilota ha eseguito l’ordine, non così quello dell’elicottero presidenziale. Perché?

In un regime noto sia per la sua opacità che per la sua brutalità alcuni media Usa, non certo teneri con l’Iran, avevano fatto cenno al presupposto di un complotto, soprattutto dopo che l’anziana madre di Raisi è apparsa in video sconvolta chiedendo la morte di “chiunque ti abbia ucciso se non è stato Dio”.

Raisi era in corsa per succedere all’ ottantacinquenne Khamenei che parrebbe essere in cattive condizioni di salute, ed era sostenuto dalla fazione più estrema dei sostenitori del regime, il Fronte Paydari.

In Iran la rivolta ispirata Mahsa (Jina) Amini, morta sotto la custodia della cosiddetta polizia morale per “presunto hijab (velo) improprio”.

La rivolta dovuta al giro di vite sul “pudore” imposto nel 2022 proprio da Raisi, ha ispirato il movimento Donna, Vita, Libertà.

Il fatto che l’elicottero presidenziale sia precipitato al ritorno dall’inaugurazione di una diga chiamata Qiz-Qalasi, tradotto: Forte delle Ragazze, pare sia stato interpretato dagli oppositori come una giustizia profetica.

Raisi è stato anche il volto del brutale confronto del regime contro la rivolta, ed è incolpato per la morte di più di 500 rivoltosi iraniani.

Non solo, i gruppi per i diritti umani conoscevano Raisi come membro del cosiddetto “Comitato della morte” che nel 1988 ordinò sommarie esecuzioni di migliaia di dissidenti, commentata dagli stessi funzionari del regime come “la più grande atrocità della Repubblica islamica…per cui saremo condannati dalla storia”.

Non sarebbe la prima volta che qualcuno che non condivideva la visione di Khamenei per la futura leadership iraniana faccia una fine sospetta.

Nel 2017, l’ex presidente e fondatore della Repubblica Islamica Akbar Hashemi Rafsanjani è morto in una piscina.

Rafsanjani inizialmente era stato determinante nello spingere Khamenei al vertice della Repubblica, ma la convivenza amicale non durò e nei decenni che seguirono si scontrarono così tanto che, al momento della sua morte, Rafsanjani era conosciuto come il principale oppositore di Khamenei all’interno del regime.

La famiglia di Rafsanjani richiese un’autopsia affermando che i livelli di radiazioni del suo corpo erano notevolmente superiori ai normali livelli di sicurezza, ma la richiesta venne respinta e poco dopo il caso fu definitivamente chiuso.

Nelle ore immediatamente successive allo schianto dell’elicottero, è esploso un vero e proprio conflitto mediatico tra informazioni e disinformazioni, tanto che una analisi sui social media ha rilevato come solo su X il 22% degli account coinvolti nei dibattiti sull’incidente erano falsi, aggiungendo che si trattava di una sofisticata e organizzata campagna di disinformazione tesa a raggiungere la cifra mostruosa di 6 milioni di visualizzazioni in due giorni.

Interessante è la fonte dei dati: la società di sicurezza informatica Cyabra, con sede a Tel Aviv.

Cyabra afferma di aver documentato come circoli online una apparentemente buffa teoria del complotto.

Secondo tale teoria un agente del Mossad di nome “Eli Copter” aveva causato l’incidente.

Il nome era stato preso da una barzelletta pubblicata sui social media ebraici, ma, ricorda il Time, l’agenzia di spionaggio israeliana negli ultimi anni ha ucciso diversi iraniani tra scienziati nucleari e figure militari di spicco.

Nonostante il deciso negare del Governo di un qualsiasi ruolo di Israele nella morte di Raisi qualche dubbio sorge.

Soprattutto se gli analisti che hanno scartato tale possibilità di coinvolgimento sono stati in primis gli israeliani.

Solo due mesi prima dello schianto Teheran aveva lanciato circa 300 missili e droni verso Israele, il suo primo attacco diretto al territorio israeliano, come rappresaglia per un attacco israeliano in Siria che aveva ucciso due alti generali iraniani.

Un’altra delle campagne promosse con forza dagli account falsi ha proposto “Raisi come un eroe nazionale”, utilizzando gli stessi hashtag dei suoi sostenitori.

Account falsi sono stati coinvolti anche nei post che lo hanno criticato, ma gli sfoghi pubblici che celebravano la sua morte erano reali.

Le clip che mostravano le famiglie delle persone uccise dal regime mentre gridavano e ballavano di gioia, sono diventate più che imbarazzanti pericolose e insistenti tanto che la polizia ha proceduto agli arresti  di chiunque ritenessero aver “insultato” Raisi online.

Le autorità avrebbero potuto sperare che la morte di un presidente mentre svolgeva il suo dovere avrebbe suscitato un po’ di simpatia per la Repubblica islamica.

Ma, conclude il Time, “il divario tra regime e società sembra troppo profondo per essere colmato dalla morte di Raisi”.

A cura di Mario Garavelli

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