Il Miramondo
Influencer in mimetica: quando la guerra non si fa solo con i cannoni

Una delle persone più importanti in Israele, in questo momento, è un addetta stampa militare di 22 anni. Ci si affida a lei per tentare di giustificare le operazioni militari dell’Esercito.
Negli ultimi tempi Masha Michelson è diventata il volto mediatico delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), e sui social media è così seguita da diventare suo malgrado un influencer di successo.
Pur senza addestramento al combattimento, Michelson ha seguito le truppe israeliane a Gaza per documentare la guerra dal loro punto di vista.
Tra i numerosi servizi, Michelson, in mimetica e giubbotto antiproiettile, ha filmato di notte i tunnel sotto l‘ospedale Al-Shifa a Gaza City, offrendo prova evidente, così almeno sembra, di uno dei centri di comando terroristico sotterraneo di Hamas.
Ha filmato depositi di armi usate dai terroristi, ed ha postato video su video, utilizzando gli account dell’IDF, su TikTok, Instagram e X, e varie altre piattaforme utilizzate in prevalenza dalla gioventù israeliana che si sta sempre più ribellando contro la guerra.
Ed è capibile vista l’obbligatorietà della leva militare.
Secondo Michelson, intervistata dal TIME, ” Nel rivolgersi al mondo e documentare, è più probabile che ascoltino qualcuno che gli somiglia”.
Ma se il mondo può anche ascoltare, convincere le persone è tutt’altra cosa, conclude il TIME.
Israele, nei giorni precedenti l’esplorazione e documentazione dei tunnel di Michelson, aveva terminato l’assedio di Al-Shifa, durato giorni.
Assedio che ha costretto migliaia di pazienti malati e feriti, nonché i medici e gli infermieri che si prendevano cura di loro, a evacuare la struttura, provocando, secondo quanto riferito, la morte di almeno sei bambini prematuri.
Per coloro che criticano Israele, è stato l’ennesimo esempio del costo in vite innocenti della sua offensiva.
Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas (e quindi attendibile quanto Hamas) Il bombardamento durato mesi ha ucciso almeno 20.000 persone tra civili e combattenti.
I palestinesi sfollati dalle loro case sarebbero più di due milioni.
La conseguente crisi umanitaria ha avuto un effetto domino rendendo l’enclave costiera assediata quasi inabitabile.
E ci mancava anche la rottura del costosissimo pontile di approdo costruito dagli americani per velocizzare gli aiuti umanitari.
Per Israele e i suoi sostenitori, le vittime civili rappresentano il prezzo tragico ma inevitabile da pagare per la sicurezza dello Stato-Nazione creato dopo l’Olocausto nazista, con il ritorno degli ebrei nella loro patria ancestrale.
Hamas ricordiamoci, si è infiltrato in Israele il 7 ottobre, uccidendo 1.200 persone tra cui bambini e anziani, prendendo centinaia di ostaggi e commettendo atrocità inaudite, tra quali, orribile dirlo, lo stupro può essere annoverato tra le meno peggio, il che rende una reazione degli israeliani più che comprensibile.
Ma forse nemmeno gli israeliani si aspettavano un attacco sterminatore di tale portata, anche se Netanyahu aveva avvertito che si sarebbero viste cose come mai prima d’ora.
Ha mantenuto la promessa.
Stando a quanto ripetono i suoi leader, Israele sta facendo tutto il possibile per evitare la morte di innocenti, ma ciò è inevitabile in quanto le forze di Hamas usano praticamente l’intera popolazione di Gaza, compresi quelli negli ospedali, come scudi umani.
Yaakov Amidror, ex generale dell’IDF ritiene impossibile combattere Hamas senza causare vittime civili, e aggiunge che senza distruggere Hamas, come sostiene anche la leadership israeliana, “si condanna il paese a ulteriori massacri e si manda il messaggio alle altre potenze ostili nella regione, come l’Iran, che il terrorismo funziona”.
Per contrastare la crescente perdita di sostegno globale Israele mette in campo, accanto ai carrarmati tutta una serie di iniziative.
Un’operazione crescente per convincere l’intero mondo che la battaglia che Israele sta combattendo è una battaglia per la propria sopravvivenza e che l’IDF sta facendo il possibile per evitare vittime civili.
Non ci sono solo i messaggi sui social media della portavoce Michelson.
L’ufficio per le comunicazioni internazionali dell’IDF si è ingigantito a dismisura arrivando a contare più di 200 persone.
L’IDF stesso ha accompagnato giornalisti e sostenitori di spicco, come Elon Musk, compreso un nutrito gruppo di influencer di TikTok, a visitare i kibbutz attaccati da Hamas, che ora sono diventati la testimonianza dei nuovi campi di sterminio degli ebrei.
La visita ai kibbutz della morte era già iniziata tre giorni dopo la strage di Hamas, quando i funzionari israeliani avevano accompagnato i giornalisti internazionali al Kibbutz Kfar Aza, dove Hamas ha sterminato più di 50 persone.
Ricorda Anshel Pfeffer, un reporter che scrive per The Economist che il sito era ancora una fresca scena del crimine, con cadaveri ovunque: vittime israeliane avvolte in sacchi per cadaveri, combattenti di Hamas che giacevano dove erano caduti, case macchiate di sangue, e alcune ancora piene di corpi mutilati e resti carbonizzati di vittime bruciate vive.
E questo, nella speranza di ricordare al mondo la portata e la depravazione feroce dell’attacco del 7 ottobre.
Non solo, Il governo israeliano sta spendendo milioni di dollari in campagne pubblicitarie online su piattaforme che vanno da YouTube al popolare gioco online Angry Birds, mentre le ambasciate israeliane presenti nel mondo continuano a proiettare per giornalisti e politici un video di 43 minuti sulle atrocità di Hamas, in gran parte filmato dalle telecamere dei terroristi.
La controffensiva mediatica non si è fatta attendere.
I social media sono inondati di scene strazianti di morte e distruzione da parte di Israele, che hanno conquistato un vasto pubblico con le testimonianze oculari e in presa diretta della guerra.
Video e immagini amplificate da simpatizzanti di Hamas e dettagliati resoconti cinesi, russi e iraniani.
Secondo l’Institute for Strategic Dialogue di Londra, che monitora la disinformazione online, ciò ha creato un’ondata di antisemitismo globale, dai campus universitari alle stanze del potere di molti Stati, cercando così di screditare e negare le preoccupazioni di Israele in merito alla sua sicurezza.
Benjamin Netanyahu non ha certo favorito simpatie verso la nazione che guida, paragonando sforzo bellico alla storia biblica di Amalek, quando Dio dice al re Saul di uccidere ogni persona, comprese donne e bambini, nella nazione rivale dell’antico Israele.
La pace soffre di un’impasse anche mediatico quindi, ma i morti purtroppo non sono virtuali.
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