Il Miramondo
È il declino dell’impero Americano? E l’Europa?

Esiste un interessante studio sviluppato dalla Harvard Kennedy University, che racconta alcuni aspetti inediti, specialmente per noi occidentali, percezione che hanno i cittadini statunitensi sull’effettivo potere degli USA rispetto al resto del mondo.
Gli americani sono preoccupati per quello che temono essere l’imminente declino USA, ma in verità lo sono un po’ da sempre, e non solo ottant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Nel 1600, dopo aver fondato la prima colonia nella Baia del Massachussetts, i puritani già si lamentavano di un declino morale, (quello economico era ancora in sviluppo).
Nel 1700, paragonandolo alla storia di Roma, i padri fondatori degli odierni USA, si preoccupavano per quello che ritenevano un repentino declino della nuova Repubblica.
Nel 1800 Dickens osservava come i cittadini americani fossero sempre sull’orlo di una allarmante crisi di nervi per il declino del loro paese.
Lo studio di Harvard si concentra sul problema della effettiva capacità statunitense di avere un controllo competo delle situazioni. A differenza di quanto avviene nel mito immaginario di superpotenza che condiziona le opinioni di gran parte del mondo.
Alcuni episodi citati di “declinismo” si possono osservare a partire dall’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica nel 1956, la sconfitta francese in Indocina alla quale seguirà quella americana per sfinimento e sottovalutazione, la presa di Suez da parte degli alleati Europei e Israele bypassando gli Stati Uniti.
Il Declinismo agisce quindi sulla psicologia popolare più che le attente forbite e spesso controverse e contraddittorie analisi geopolitiche degli esperti.
E la psicologia popolare fa gola ai politici.
Ci prova e ci ha provato con successo Trump con lo slogan votato a rendere l’America di nuovo grande, ci prova Biden che promette un futuro luminoso, ma i cittadini restano scettici e comunicano ai sondaggisti la loro ansia per un declino che appare inevitabile e la repentina perdita di status di Superpotenza in grado di influenzare la politica estera mondiale. (per fare un esempio gli USA nel 1945 rappresentavano metà dell’economia mondiale, nel 1970 erano già ad un quarto, e più o meno tale è rimasto finora grazie alle politiche sul dollaro attuate da Nixon di sganciarlo dall’oro effettivo e sue fluttuazioni. (Se lo poteva permettere.).
Quest’ansia da declino può portare a due diverse scelte politiche preminenti, e ben rappresentate dai candidi in corsa per le Presidenziali.
Trump si ritiene punterà come ha già in parte fatto ad una chiusura degli Stati Uniti su sé stessi, con politiche protezioniste e accrescendo il sentimento nazionalista, disinteressandosi della politica estera e lasciando che le nazioni si autodeterminino o si distruggano senza ingerire nelle loro scelte.
Biden probabilmente punterà all’opposto, cercando di rafforzare la capacità e il potere americano di influenzare le scelte di alleati e nemici. Ma è una politica che può portare a gravi danni, anche economici, con il rischio di isolare gli USA anche più di quello che non tenda a fare Trump.
Il secolo americano è dunque finito e tornerà alla memoria la foto di un’importante rivista americana che raffigurava in copertina la Statua della Libertà in lacrime?
Secondo il libro “A Life in the American Century” di Joseph S. Nye jr. non sarà così, anche se il primato americano sarà diverso da quello del ventesimo secolo.
Secondo Nye, il pericolo non risiede nel fatto che la Cina supera gli Stati Uniti, ma che la necessità di mantenere il potere possa portare al disequilibrio del sistema interno e relativo stallo.
La Cina è un concorrente impressionante, ma secondo Nye anche debole.
Con una analisi interessante e lucida Nye spiega che gli Stati Uniti hanno almeno cinque vantaggi che possono determinare l’equilibrio generale del potere:
Uno è geografico. Gli Stati Uniti sono circondati da due oceani e due vicini amichevoli, mentre la Cina condivide un confine con altri quattordici paesi ed è impegnata in dispute territoriali con diversi di loro, (Taiwan in testa).
Gli Stati Uniti hanno energia, mentre la Cina dipende dalle importazioni.
Terzo: gli Stati Uniti hanno grandi istituzioni finanziarie transnazionali e traggono potere da loro e dal ruolo internazionale del dollaro, valuta di riserva credibile, liberamente convertibile, nonché nei mercati dei capitali.
Il quarto vantaggio è dato dallo stato di diritto che vige in USA e che manca alla Cina.
Infine, gli Stati Uniti hanno anche un relativo vantaggio demografico in quanto unico grande paese sviluppato che attualmente si prevede manterrà il suo posto (terzo) nella classifica della popolazione globale, evitando la contrazione della forza lavoro prevista nel prossimo decennio.
Va inoltre aggiunto che gli Stati Uniti, pur essendo stata affiancata dalla Cina nello sviluppo dalle tecnologie chiave (bio, nano, e informatica), possiede università di ricerca all’avanguardia, molto più avanzate di quelle cinesi.
Alcuni di questi fattori li possiede anche l’Italia e così l’Europa Unita, ed altri si possono recuperare.
Basterebbe solo pensare che l’Europa Unita non sia una mera etichetta ma lo sia realmente, senza cadere nel declino senza aver nemmeno attraversato la storia a differenza degli Stati Uniti, che uniti lo sono sul serio.
A cura di Mario Garavelli
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