Cui Prodest
Camille Claudel o Auguste Rodin? Irrilevante, ma solo per l’arte

Si è svolto un dibattito sulla autenticità o meno di questa immagine. Essa mostra nei lineamenti dei due grandi artisti ed amanti, sfumature psicologiche assenti nella iconografia precedente e diviene tessera di una vicenda che, data la sua eccezionalità e crudezza, è reale, simbolica e immaginaria insieme.
Una “drammaturgia nella drammaturgia” del grande lavoro che porta il nome del padre dell’impressionismo in scultura: “The show must go on” e lo fa, nel caso Claudel-Rodin, con passione, plagio, creazione artistica e catarsi.
L’avvertenza che i più grandi manipolatori di foto siano stati i regimi totalitari non ha più rilevanza, oggi. I più grandi manipolatori di foto sono i sistemi tecnologici e digitali che forze di varia estrazione sono in grado di utilizzare. Invece, nell’era dell’opera d’arte NFT e digitale, ove alla benjaminiana riproducibilità tecnica si aggiunge la trasformazione, invisibile o quasi, occorre rivedere la costellazione dei criteri di riferimento.
Ma non perdere la stella polare: che riguarda la vera produzione dell’effetto artistico, che avviene nel fruitore. Vera o falsa l’origine all’arte non importa, nell’epoca di un digitale che presto sarà diffusamente almeno ternario come effetto della fisica quantistica.
Parlare oggi, con la Intelligenza Artificiale nel taschino e il transumanesimo incipiente, di realtà e correttezza di un oggetto visivo, toccato da tecnologie avanzatissime, e mirato a una missione estetica o connessa, è un errore classico di una valutazione ideologica dell’Arte.
Ben vengano il Realismo socialista, l’arte di regime in genere, i testimonial artistici gonfiati o addirittura creati dalla propaganda (perché non c’è grande politica senza arte celebrativa…), come Jacques-Louis David o Antoine-Jean Gros durante l’era napoleonica e tanti, tanti altri (forse pure Andy Warhol…), pagati (direttamente o indirettamente) o sostenuti comunque dalla propaganda, se fanno arte, cioè, producono vera catarsi!
L’immagine sopra di Rodin e Claudel, anche falsa (l’arte non teme la contraffazione oppure il falso tout-court… il capitale sì), è interessantissima. Chi l’ha costruita ha creato un messaggio molto ben riuscito. Non è falsa un’immagine che si addentra nella complessa vicenda estetico-sentimentale di Rodin-Claudel.
Capisco il piano patrimoniale della contraffazione, e anche quello scientifico-storico, per cui tra l’altro quest’immagine è pressoché irrilevante, ma in questo caso va considerato quello artistico.
E quelle due espressioni sono un capolavoro. Sono ottiche diverse, quella del giurista, dell’investitore, dello storico e quella dello studioso di estetica o di sociologia dell’arte.
Chi sarebbe stata Camille Claudel senza Auguste Rodin? E chi sarebbe stato Auguste Rodin senza Camille Claudel? Ma, soprattutto, quanta arte dobbiamo all’incontro dei due? Camille sapeva ciò che faceva? E Rodin?
Il caso Camille Claudel è stato magistralmente trattato da un testo capolavoro di Maria Antonietta Centoducati e messo in scena recentemente. Emergono domande spontanee e risposte che non si possono dare. Di certo Camille Claudel merita ricordo e comprensione. E anche una condivisione nello spirito dell’arte di Auguste Rodin.
Voleva essere scultrice, Camille. Cosa non facile per una diciassettenne cresciuta in una famiglia borghese della Francia di fine ‘800. Auguste Rodin era invece uno scultore già affermato. Camille ne divenne allieva, poi collaboratrice e amante. Nonostante l’affiatamento, anche artistico, il loro fu un amore infelice. Posto di fronte all’eterno dilemma, l’uomo, 24 anni più vecchio di lei, scelse Rose, la storica compagna più volte tradita.
L’amore di Camille così si tramutò in odio e l’ira la spinse a scolpire capolavori, ma la condusse alla malattia mentale. Nel 1913 la madre la fece rinchiudere in manicomio, dove resterà per 30 anni, fino alla morte. Auguste Rodin morirà nel 1917.
Dalle lettere dal manicomio alla madre e al fratello Paul, Camille scriveva: «È stato davvero utile lavorare sodo e aver talento per ricevere poi questo in premio. Mai un soldo, torturata in varie forme, per tutta la vita. Depredata di tutto ciò che dà la gioia di vivere e poi fare una simile fine. […] Mi si accusa (crimine senza pari) di aver vissuto da sola, di essermi circondata di gatti, di cadere preda di manie di persecuzione! […] Vivere qui mi causa un soffrire tale da impedirmi di restare umana. Non riesco più a tollerare gli strepiti di tutte queste creature, la nausea mi attanaglia. […] In fin dei conti si tratta di un parto del diabolico cervello di Rodin. Lo ossessionava un’unica idea, vale a dire che dopo la sua morte io potessi librarmi in volo e raggiungere altezze maggiori delle sue: doveva tenermi in suo potere da morto così come faceva da vivo. Quando lui fosse morto mi sarebbe spettata la stessa infelicità che mi aveva inferto da vivo. Il suo intento è perfettamente riuscito, perché io sono assolutamente infelice!».
L’Arte è terra franca, è un vortice che reinterpreta tutto, e in modo unicamente suo. Così Guernica di Picasso, così Mussolini a cavallo di Sironi, così la scultura di Auguste Rodin e Camille Claudel. Ogni senso filosofico, ideologico, religioso, morale lascia il posto all’effetto estetico, alla catarsi. Molti artisti sono morti per “ciò”. Molti hanno sacrificato e ridotto la loro esistenza, per produrre continue gravidanze e vagiti di vera vita nell’umano.
Guardate quei due visi. Pensate alla grandezza della forma scultorea che è emersa di cui una recente mostra al MUDEC di Milano ha svelato ulteriori versanti, in connubio con la danza. Immaginate il cervello da cui viene: era cosciente del ciclo che attuava col disegno, il materiale, le fusioni? E da dove veniva l’ispirazione? L’Arte stava consumando carne umana? E di chi? È rilevante, o importa solo il risultato, per miliardi di persone? Se non ci fosse stata ingiustizia, sarebbe esistita Camille Claudel? Ma, soprattutto, se non ci fosse stato Rodin? Lei sapeva questo?
Questa foto è arte fotografica oppure digitale oppure ancora tecnica mista, ma invade ed evoca. Quando vedo l’opera di Rodin non riesco a non pensare al crocevia che ogni grande artista rappresenta, fatto di confluenza e di un nome che prevale, giusto perché deve esserci, magari su due: Rodin, rispetto a Rodin-Claudel.
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