Correva l anno Archivi - La voce del Trentino https://www.lavocedeltrentino.it/category/home/societa/correva-lanno/ Quotidiano online indipendente Sat, 17 Aug 2024 04:51:14 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 30 anni fa l’arresto dei criminali della Uno Bianca: ecco la vera storia https://www.lavocedeltrentino.it/2024/08/17/30-anni-fa-larresto-dei-criminali-della-uno-bianca-ecco-la-vera-storia-2/ Sat, 17 Aug 2024 04:40:04 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=474820 30 anni fa l’arresto dei criminali della Uno Bianca: ecco la vera storia

Ieri sul Nove è andato in onda il docufilm sulla guerra condotta dalla banda della Uno bianca che, dal 1987 al 1994 ha agito praticamente indisturbata, a Bologna, nella Romagna, arrivando a colpire fino a Pesaro. È la rappresentazione reale (anche troppo) di quello che è successo in sette anni di omicidi, rapine, indagini ed […]

L'articolo 30 anni fa l’arresto dei criminali della Uno Bianca: ecco la vera storia proviene da La voce del Trentino.

]]>
30 anni fa l’arresto dei criminali della Uno Bianca: ecco la vera storia

Ieri sul Nove è andato in onda il docufilm sulla guerra condotta dalla banda della Uno bianca che, dal 1987 al 1994 ha agito praticamente indisturbata, a Bologna, nella Romagna, arrivando a colpire fino a Pesaro.

È la rappresentazione reale (anche troppo) di quello che è successo in sette anni di omicidi, rapine, indagini ed errori compiuti dagli inquirenti che ha portato alla condanna di persone estranee ai fatti. 

Una storia pazzesca che a distanza di oltre 30 anni fa arrabbiare ancora tutti, e che non è stata dimenticata da nessuno, in special modo dai parenti delle vittime.

Il docufilm  parte dall’inizio, dalle prime rapine dai caselli autostradali, alle coop, alle gioiellerie, agli uffici postali e le banche. La storia illustra in parallelo gli stati d’animo delle forze dell’ordine costrette ad essere testimoni di assassini e delle morti dei propri colleghi uccisi senza pietà dalla banda di criminali senza nessun motivo apparente.  Le indagini che per anni non hanno portato a nulla, l’esasperazione della polizia di Stato e le mille ipotesi legate a quarti, quinti e sesti poteri che poi è stato appurato non sono mai esistiti.

Ma durante le indagini sono stati commessi molti errori, basti pensare che l’identikit di Roberto Savi è rimasto appeso per anni nelle stanze di tutte le questure dell’Emilia Romagna senza che nessuno si accorgesse che era praticamente la foto di un collega. Mistero anche sull’arma che uccise tre carabinieri in uno scontro a fuoco che era in appartenenza a solo 20 persone in tutta l’Italia, uno di questi era Roberto Savi.  

Poi la costruzione di un pool apposito per indagare sulla banda dell’Uno Bianca che però in 9 mesi non aveva portato a nulla e per questo fu sciolto. Poi la svolta improvvisa grazie a due poliziotti Pietro Costanza e Luciano Baglioni che avevano promesso al collega Antonio Mosca in punto di morte che i suoi assassini sarebbero stati ammanettati.

Si deve appunto a questi due poliziotti, (nella foto) che dopo la scioglimento del pool, hanno continuato testardamente le indagini fino all’arresto della banda della Uno Bianca. Con pervicacia incredibile i due avevano deciso di controllare a turno le banche della zona dove i criminali compivano dei sopralluoghi prima delle rapine.

Dopo giorni e giorni di appostamenti videro una Uno Bianca passare davanti alla banca e rallentare fino quasi a fermarsi per poi ripartire. Presi ormai dalla disperazione i due poliziotti la seguirono fino all’arrivo al paese di Torriana dove il conducente dopo essere sceso entrò in casa al civico 29. I due allora controllarono presso il comune chi abitava in quella casa venendo a sapere che l’inquilino di chiamava Fabio Savi. Il nome allora non diceva nulla a nessuno.

Dopo lo svilupparsi delle indagini i due vennero a sapere che era il fratello di Roberto Savi e Alberto Savi, entrambi dipendenti della polizia di Stato. Il film attraverso le testimonianze dei poliziotti riassume tutte le drammatiche dinamiche che hanno portato alla scoperta che gli assassini di decine di persone erano poliziotti. Nel documentario inchiesta viene ricostruita anche la storia controversa di Eva Mikula, convivente di uno dei fratelli Savi a cui si deve però la condanna di tutti gli assassini.

Gli assassini nell’ultima parte del film si sentono braccati, sono consapevoli di essere seguiti e scoperti. Poi, il 21 novembre 1994, l’arresto del capo Roberto Savi dentro la questura di Bologna mentre era al lavoro, come del fratello Alberto in quella di Rimini e di Fabio Savi bloccato a 20 km dal confine svizzero mentre tentava la fuga.

Pochi mesi fa si è tornato a parlare della banda della Uno Bianca dopo la richiesta da parte di Ludovico Mitilini, fratello di Mauro, morto nell’agguato, il 4 gennaio del 1991 alla periferia di Bologna, dove morirono tre carabinieri di vent’anni, massacrati dai killer della banda della Uno Bianca di riaprire le indagini.

Andrea Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini caddero sotto una pioggia di 222 proiettili nella strage del Pilastro. Da quel giorno sono passati 30 anni, ma molti dubbi sono rimasti.

Ma che fine hanno fatto quelli della banda che tra il 1987 e il 1994 commisero centotrè crimini, soprattutto rapine a mano armata, provocando la morte di ventiquattro persone e il ferimento di altre centodue?

Da ricordare che la maggior parte dei componenti della banda armata erano membri della Polizia di Stato. I componenti della banda vennero tutti arrestati alla fine del 1994 e successivamente condannati.

I processi si conclusero il 6 marzo 1996, con la condanna all’ergastolo per i tre fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi e per Marino Occhipinti. Ventotto anni di carcere per Pietro Gugliotta, diminuiti poi a diciotto. Luca Vallicelli, componente minore della banda, patteggiò una pena di tre anni e otto mesi; venne inoltre stabilito che lo Stato italiano versasse ai parenti delle ventiquattro vittime, la somma complessiva di diciannove miliardi di lire.

Particolare e controversa la posizione di Eva Mikula la compagna di Fabio Savi che dopo 4 processi in Corte d’assise e 2 in appello ed 1 in Cassazione ha dimostrato la sua estraneità ai crimini.

Le dichiarazioni di Eva Mikula risultarono comunque decisive per la condanna dei fratelli Savi. Ma ora vediamo che fine hanno fatto tutti i membri della famosa Uno Bianca.

Roberto Savi – Condannato all’ergastolo ai processi, Savi stupì tutti per l’estrema freddezza con cui, beffardo e provocatorio, parlava dei reati più atroci da lui commessi; alle domande non rispondeva «» oppure «no», bensì «affermativo» e «negativo».

Il 3 agosto 2006, Roberto Savi fece richiesta di concessione del provvedimento di grazia, al tribunale di Bologna. La domanda venne ritirata il 24 agosto, dallo stesso Savi, a seguito del parere sfavorevole espresso dal procuratore generale bolognese, Vito Zincani. Il 1º ottobre 2008, si è risposato con una detenuta olandese del carcere di Monza. È tutt’ora detenuto.

Fabio Savi – Dopo la condanna all’ergastolo, venne trasferito nel carcere di Sollicciano a Firenze, e in seguito in quello di Fossombrone a Pesaro. Il 24 settembre 2009, Fabio Savi, dopo circa un mese di sciopero della fame presso il carcere di Voghera, venne ricoverato all’ospedale della città, per motivi clinici. La motivazione dello sciopero sarebbe la richiesta da parte di Savi di essere trasferito in un carcere più vicino alla sua famiglia e la possibilità di lavorare per provvedere alla stessa. Il 4 gennaio 2010, venne trasferito nel carcere di massima sicurezza di Spoleto.

Nell’ottobre del 2014, chiese di poter usufruire a posteriori del rito abbreviato, che avrebbe tramutato l’ergastolo in trenta anni di carcere. La richiesta venne respinta il 3 dicembre 2014, dalla Corte d’Assise di Bologna. È tutt’ora detenuto.

Alberto Savi –  Fratello minore di Roberto e Fabio. Assieme ai fratelli, formava la struttura principale della banda. Debole di carattere, subì la personalità più forte e dominante dei fratelli maggiori. Sconta l’ergastolo dal 26 novembre 1994. Il 23 ottobre 2010, Alberto Savi chiese di poter uscire dopo sedici anni scontati in carcere. Dopo ventitré anni di carcere, ha beneficiato di un permesso premio nel febbraio 2017, per incontrare la madre ricoverata in gravissime condizioni di salute. Dal 2019, usufruisce di un permesso premio per le vacanze natalizie.

Pietro Gugliotta – Non partecipava mai alle azioni omicide del gruppo. Venne comunque condannato a diciotto anni di reclusione. Anche lui poliziotto, svolgeva la funzione di operatore radio nella questura di Bologna assieme all’amico Roberto Savi. Venne scarcerato nel 2008, dopo quattordici anni di reclusione, grazie all’indulto e alla legge Gozzini.

Le due figlie di Gugliotta, hanno  completato la procedura per il cambiamento di cognome, anche per cominciare a vivere in pace mentre purtroppo dopo l’arresto di Gugliotta il suocero si suicidò, probabilmente per la vergogna.

Marino Occhipinti – Membro minore della banda, prese però parte a un assalto a un furgone della Coop di Casalecchio di Reno, il 19 febbraio 1988, durante il quale morì una guardia giurata e per questo venne condannato all’ergastolo. Anche lui poliziotto presso la squadra mobile di Bologna, al momento dell’arresto, avvenuto il 29 novembre 1994, era vice-sovrintendente della sezione narcotici della Squadra mobile. In una recente intervista, Marino Occhipinti ha chiesto perdono ai familiari della guardia giurata uccisa. Dal 2002, lavora presso una cooperativa.

Il 30 marzo 2010, con un decreto motivato del tribunale di sorveglianza, Marino Occhipinti, dopo sedici anni di detenzione, usufruì di un permesso premio di cinque ore per partecipare ad una Via crucis a Sarmeola di Rubano, nel Padovano, assieme ad altri detenuti e accompagnato da operatori sociali. L’11 gennaio 2012, gli venne concessa la semilibertà.

Il 20 giugno 2018, il suo avvocato, Milena Micele, ha presentato in udienza la documentazione a favore della libertà, che comprende le relazioni sul suo lavoro svolto fuori e dentro il carcere con la cooperativa Giotto. Secondo il provvedimento del Tribunale di sorveglianza, il suo pentimento è autentico, ha rivisitato in modo critico il suo passato e non è socialmente pericoloso. Marino Occhipinti è stato quindi scarcerato, il 2 luglio 2018.

Luca Vallicelli – Poliziotto al momento dell’arresto, avvenuto il 29 novembre 1994, era agente scelto presso la sezione Polizia Stradale di Cesena. Membro minore della banda, partecipò solamente alle prime rapine, che si conclusero senza omicidi. Patteggiò tre anni e otto mesi in carcere, ed è attualmente un uomo libero, destituito dalla Polizia di Stato.

Nel marzo del 1998 il padre dei fratelli Savi si è ucciso e il suo corpo è stato ritrovato in un’automobile dello stesso tipo e dello stesso colore usato dai suoi figli per uccidere 24 persone. Giuliano Savi, 72 anni, ha lasciato un biglietto con la frase: “Chiedo perdono a Dio, ma non ce la faccio più ad andare avanti”. Poi ha preso una dose massiccia di sonnifero (nell’auto sono state ritrovate sette scatole di Tavor). All’interno sono stati ritrovati anche altri messaggi, scritti sia in corsivo sia in stampatello.

Eva Mikula – Dopo 7 processi dove è sempre stata assolta per «non aver commesso il fatto»  ha scritto un libro che ha venduto molte copie. Negli anni seguenti ha detto di avere una bellissima famiglia, dei figli, che lavora nel settore immobiliare e che si è perfettamente integrata nella società italiana. Ha dichiarato anche di dedicarsi al volontariato in un’associazione che contrasta la violenza sulle donne portando l’esperienza di una persona che è riuscita a uscire dall’inferno. Poi però qualcosa deve essere andato storto, infatti nel 2020 al resto del Carlino da Londra dove vive ha dichiarato: «La mia pena è infinita, è a vita; niente protezione, niente anonimato, niente risarcimento. Vivo nel baratro del mio passato, nascondendomi nell’oblio per affrontare e sconfiggere ogni giorno il pregiudizio dell’opinione pubblica, conquistare il mio quotidiano e dare speranza a quella dei miei figli».

 

L'articolo 30 anni fa l’arresto dei criminali della Uno Bianca: ecco la vera storia proviene da La voce del Trentino.

]]>
Si torna a parlare del delitto di Melania Rea: l’ultimo bacio che incastrò il suo assassino https://www.lavocedeltrentino.it/2024/08/02/si-torna-a-parlare-del-delitto-di-melania-rea-lultimo-bacio-che-incastro-il-suo-assassino/ Fri, 02 Aug 2024 08:23:02 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=472381 Si torna a parlare del delitto di Melania Rea: l’ultimo bacio che incastrò il suo assassino

Torna sul Nove sabato 3 agosto alle 21:25 «Crimini italiani” con la puntata dedicato all’omicidio di Melania Rea. Una brutta storia fatta di tradimenti e bugie sfociata poi con la terribile morte della 29 enne Melania Rea. L’omicidio di Melania Rea, avvenuto nel 2011, ha sconvolto non solo le Marche, ma l’intera Italia. Questo brutale femminicidio, […]

L'articolo Si torna a parlare del delitto di Melania Rea: l’ultimo bacio che incastrò il suo assassino proviene da La voce del Trentino.

]]>
Si torna a parlare del delitto di Melania Rea: l’ultimo bacio che incastrò il suo assassino

Torna sul Nove sabato 3 agosto alle 21:25 «Crimini italiani” con la puntata dedicato all’omicidio di Melania Rea. Una brutta storia fatta di tradimenti e bugie sfociata poi con la terribile morte della 29 enne Melania Rea.

L’omicidio di Melania Rea, avvenuto nel 2011, ha sconvolto non solo le Marche, ma l’intera Italia. Questo brutale femminicidio, che continua a suscitare discussioni, ha portato alla condanna di Salvatore Parolisi, marito della vittima.

In primo grado, Parolisi fu condannato all’ergastolo, con tre aggravanti: crudeltà, minorata difesa e vilipendio di cadavere. Gli venne anche tolta la potestà genitoriale sulla figlia, che fu affidata alla famiglia materna. Nel 2015, con l’esclusione dell’aggravante della crudeltà, la pena fu ridotta a 20 anni, diventando definitiva.

L’omicidio di Melania Rea è tornato alla ribalta alla fine del  2023 quando Parolisi ha ottenuto un permesso premio dopo aver scontato dodici anni di carcere.

Questo ha provocato la rabbia della famiglia Rea, che tramite il proprio legale ha cercato di cambiare la situazione. “Dodici anni: la vita di una persona, di una mamma, di una ragazza uccisa in quel modo vale così poco?” ha dichiarato il fratello di Melania.

La situazione è stata ulteriormente aggravata da un’intervista rilasciata da Parolisi al programma televisivo “Chi l’ha visto?”, in cui ha ribadito la propria innocenza. “Ho tradito Melania più volte, ma non l’ho uccisa. E con Ludovica era solo una scappatella,” ha detto. “Se trovassi un lavoro potrei uscire, ma chi me lo dà un lavoro? Quando sentono il mio nome e cognome, scappano, fanno il deserto. Mi hanno dato 12 ore di permesso dopo 12 anni.”

Queste dichiarazioni hanno indignato la famiglia Rea: “Dicono che il carcere riabiliti, soprattutto nelle relazioni interpersonali, ma crediamo che lui sia peggiorato in questi anni e lo ha dimostrato. Non mi sembra il caso che dopo 12 anni un assassino del genere possa uscire, rifarsi una vita e avere contatti con altre persone, con la società. Tanto si è fatto in questi anni per il femminicidio, ma tanto si deve ancora fare”. Con l’aiuto di un legale, la famiglia Rea è riuscita a ottenere dal Tribunale la revoca dei permessi concessi a Parolisi.

Dopo l’intervista, il magistrato di sorveglianza è stato informato dei comportamenti di Parolisi, ritenuti incompatibili con i benefici concessi. Di conseguenza, tutti i 15 permessi già concessi fino a ottobre sono stati revocati, nonostante Parolisi continui a sostenere di essere stato “ingiustamente condannato”.

Melania, madre di una bambina, è stata uccisa a soli 29 anni a Colle San Marco, in provincia di Ascoli Piceno. Dopo la segnalazione della sua scomparsa, il suo corpo martoriato è stato ritrovato nel boschetto delle Casermette di Ripe di Civitella del Tronto.

Il marito, Salvatore Parolisi, istruttore del 235° Reggimento Piceno e padre della piccola Vittoria, aveva denunciato la scomparsa della moglie. Due giorni dopo, grazie a una telefonata anonima, i carabinieri trovarono il corpo di Melania, seminudo e colpito da 35 coltellate. Le indagini portarono rapidamente alla dichiarazione di colpevolezza di Parolisi, che nonostante la condanna all’ergastolo, continua a proclamarsi innocente.

Secondo le indagini, Parolisi avrebbe attaccato Melania mentre si era appartata, accoltellandola più volte. Successivamente, avrebbe cercato di depistare le indagini manipolando la scena del crimine e cambiandosi d’abito. Tuttavia, i sospetti si concentrarono su di lui, portando alla condanna definitiva.

Il movente? La scoperta di Melania dell’amante di Parolisi, Ludovica. Melania aveva deciso di perdonarlo, a patto che la relazione finisse, ma Parolisi aveva continuato a vedere l’altra donna, aggravando il loro rapporto. Le tracce di DNA rinvenute nella bocca di Melania furono determinanti per la condanna di Parolisi.

Ad incastrarlo proprio quell’ultimo bacio dato alla moglie poco prima che morisse. Una traccia di Dna che con la saliva in pochi minuti sarebbe scomparita ma che invece è rimasta perché la donna quando ha ricevuto il bacio era morta. 

Allora destò particolare impressione il cadavere straziato di Melania quando venne ritrovato. Oltre alle coltellate, l’assassino aveva infatti inciso simboli particolari sulla sua pelle (pare delle svastiche) e conficcato una siringa nel petto. Gli inquirenti si trovarono di fronte ad una scena dell’orrore.

L'articolo Si torna a parlare del delitto di Melania Rea: l’ultimo bacio che incastrò il suo assassino proviene da La voce del Trentino.

]]>
Strage di Bologna: 44 anni fa l’esplosione alla stazione https://www.lavocedeltrentino.it/2024/08/02/strage-di-bologna-44-anni-fa-lesplosione-alla-stazione/ Fri, 02 Aug 2024 07:27:08 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=472373 Strage di Bologna: 44 anni fa l’esplosione alla stazione

Quarantaquattro anni fa, il 2 agosto 1980, la stazione centrale di Bologna fu teatro di un dramma che ha lasciato un segno indelebile nella storia italiana. Alle 10.25, un’esplosione devastante squarciò l’ala sinistra della stazione, riempiendola di sangue e detriti. L’orologio della stazione, fermo all’ora della tragedia, divenne un simbolo eterno di quel momento. L’esplosione, […]

L'articolo Strage di Bologna: 44 anni fa l’esplosione alla stazione proviene da La voce del Trentino.

]]>
Strage di Bologna: 44 anni fa l’esplosione alla stazione

Quarantaquattro anni fa, il 2 agosto 1980, la stazione centrale di Bologna fu teatro di un dramma che ha lasciato un segno indelebile nella storia italiana.

Alle 10.25, un’esplosione devastante squarciò l’ala sinistra della stazione, riempiendola di sangue e detriti. L’orologio della stazione, fermo all’ora della tragedia, divenne un simbolo eterno di quel momento.

L’esplosione, avvenuta in un torrido sabato d’estate, causò la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200. In poche ore, la certezza di un attentato terroristico con una bomba ad alto potenziale prese il posto dei dubbi iniziali.

L’orrore di quei momenti e il lavoro incessante di vigili del fuoco, forze dell’ordine, sanitari, Esercito e volontari impegnati nel soccorso delle vittime è stato a lungo raccontato. Tra le vittime, la più giovane era Angela Fresu, di soli 3 anni, seguita da Luca Mauri, di 6, e Sonia Burri, di 7, fino agli anziani Maria Idria Avati, di 80 anni, e Antonio Montanari, di 86 anni.

Sul luogo dell’attentato arrivò il presidente della Repubblica, Sandro Pertini. La sera stessa, piazza Maggiore si riempì per una manifestazione, la prima risposta di mobilitazione politica per chiedere giustizia e verità. Intanto, all’obitorio si cercava di dare un nome alle vittime.

La strage di Bologna rappresenta una cicatrice indelebile non solo per Bologna e l’Emilia Romagna, ma per l’Italia intera.

L'articolo Strage di Bologna: 44 anni fa l’esplosione alla stazione proviene da La voce del Trentino.

]]>
Franco Boscheri e Stefano Sabatini: 29 anni fa la tragedia del rifugio Brentari https://www.lavocedeltrentino.it/2024/07/31/franco-boscheri-e-stefano-sabatini-29-anni-fa-la-tragedia-del-rifugio-brentari/ Wed, 31 Jul 2024 08:44:21 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=472014 Franco Boscheri e Stefano Sabatini: 29 anni fa la tragedia del rifugio Brentari

Nel pomeriggio del 31 luglio 1995 nelle vicinanze del rifugio Brentari sulla Cima d’Asta nel Tesino il destino di porta via l’imprenditore di Trento Franco Boscheri e il giovane istruttore di volo Stefano Sabatini. Secondo la ricostruzione del tempo l’elicottero precipita dopo aver sbattuto contro un paBlo della teleferica. I due dovevano raggiungere il rifugio […]

L'articolo Franco Boscheri e Stefano Sabatini: 29 anni fa la tragedia del rifugio Brentari proviene da La voce del Trentino.

]]>
Franco Boscheri e Stefano Sabatini: 29 anni fa la tragedia del rifugio Brentari

Nel pomeriggio del 31 luglio 1995 nelle vicinanze del rifugio Brentari sulla Cima d’Asta nel Tesino il destino di porta via l’imprenditore di Trento Franco Boscheri e il giovane istruttore di volo Stefano Sabatini.

Secondo la ricostruzione del tempo l’elicottero precipita dopo aver sbattuto contro un paBlo della teleferica. I due dovevano raggiungere il rifugio per un sopralluogo utile per il trasporto, l’indomani, del sassofonista inglese John Douglas Surman che avrebbe dovuto tenere un concerto organizzato dall’azienda provinciale del turismo.

Franco Boscheri, importante imprenditore, lega la sua storia anche a quella del Mas dela Fam.  Quando oltre 60 anni fa vide il rudere sfigurato da un incendio se ne innamorò, vide il suo potenziale dietro il disastro. Franco iniziò il recupero, e Luca uno dei figli, lo portò a termine. Il sogno divenne realtà il 17 dicembre 2007, quando il locale venne inaugurato.

 

L'articolo Franco Boscheri e Stefano Sabatini: 29 anni fa la tragedia del rifugio Brentari proviene da La voce del Trentino.

]]>
39 anni fa l’immane tragedia di Stava: per non dimenticare! https://www.lavocedeltrentino.it/2024/07/18/39-anni-fa-limmane-tragedia-di-stava-per-non-dimenticare/ Thu, 18 Jul 2024 12:54:18 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=469839 39 anni fa l’immane tragedia di Stava: per non dimenticare!

La tragedia causò la perdita di 268 vite umane, la distruzione di 3 alberghi, 53 case d’abitazione, 6 capannoni, 8 ponti furono demoliti e 9 edifici gravemente danneggiati. Nessuno ha mai scontato la pena

L'articolo 39 anni fa l’immane tragedia di Stava: per non dimenticare! proviene da La voce del Trentino.

]]>
39 anni fa l’immane tragedia di Stava: per non dimenticare!

Domani venerdì 19 luglio 2022 ricorre il 39° anniversario della tragedia di Stava. Nel primo pomeriggio di 39 anni fa i primi lanci delle agenzie parlarono di tragedia di grandi proporzioni in val di Fiemme, anche se nessuno ancora si rendeva conto di quanto successo.

Poi, quando il dramma ha cominciato a prendere i suoi contorni più cupi, arrivarono notizie certe. La colata di fango, iniziata alle 12.22, provocò la perdita di 268 vite umane, la distruzione di 3 alberghi, 53 case d’abitazione, 6 capannoni, 8 ponti furono demoliti e 9 edifici gravemente danneggiati.

Venne cancellata quasi completamente la frazione di Stava, località di villeggiatura gremita di turisti; il paese di Tesero venne gravemente danneggiato. La più grande tragedia di sempre che il Trentino ricordi.

Come ogni anno sono previsti alcuni momenti in memoria delle vittime, il principale è la messa di suffragio che si terrà alle 18.30 di venerdì 19 luglio, nel cimitero monumentale delle Vittime della Val di Stava presso la chiesa di San Leonardo a Tesero. Alla fine della celebrazione sarà consegnato un riconoscimento ai Vigili del Fuoco Volontari di Tesero nel 150° anniversario della costituzione del Corpo. Seguirà la deposizione di un mazzo di fiori al monumento dono delle Popolazioni del Vajont antistante la chiesetta della Palanca di Stava per iniziativa degli Alpini dei Gruppi ANA di Tesero e Longarone.

Oggi, 18 luglio, vigilia dell’anniversario, si terrà la Via Crucis lungo la val di Stava che prenderà le mosse alle ore 20.30 dalla località Pesa per concludersi davanti alla chiesetta della Palanca a Stava.

Domenica 21 luglio alle ore 21 nella sala Bavarese presso il Teatro Comunale di Tesero si terrà il concerto in memoria delle Vittime della Val di Stava a cura dell’Associazione “Giuliano per l’organo” di Tesero ed eseguito da Ai Yoshida e dall’ Ensemble Boutique Classique.

Le celebrazioni di luglio, come da consuetudine, sono il cuore di vari eventi legati dal filo conduttore della memoria dei fatti di Stava del 1985. Fra questi si segnala che ogni lunedì dal 24 giugno al 2 settembre 2024, alle 16.15 dal Centro Stava 1985 prende avvio una breve camminata sul territorio per raggiungere i luoghi dove l’impianto di lavorazione e l’area della discarica mineraria sono ancora testimoni degli eventi del 1985, che si conclude al Centro Stava 1985 con visita al percorso informativo

PERCHÈ SI ARRIVÒ ALLA TRAGEDIA – La causa del crollo è imputabile sostanzialmente all’’instabilità delle discariche, soprattutto del bacino superiore. Entrambe le discariche, infatti, non possedevano coefficienti di sicurezza minimi per evitare il franamento. La Commissione ministeriale d’inchiesta ed i periti nominati dal Tribunale di Trento hanno accertato che tutto l’impianto di decantazione costituiva una continua minaccia incombente sulla vallata

L’impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l’esistenza di intere comunità umane. L’argine superiore in particolare era mal fondato, mal drenato, staticamente al limite. Non poteva che crollare alla minima modifica delle sue precarie condizioni di equilibrio.

Le cause dell’instabilità sono state individuate in particolare nel fatto che i limi depositati non erano consolidati a causa della natura acquitrinosa del terreno su cui sorgevano le discariche che non consentiva la decantazione dei fanghi, dell’errata costruzione dell’argine del bacino superiore che non consentiva un adeguato drenaggio al piede, della costruzione del bacino superiore a ridosso del bacino inferiore: crescendo, l’argine venne a poggiare in parte sui limi non consolidati del bacino inferiore, peggiorando così ulteriormente il drenaggio e la stabilità; nell’altezza e nella pendenza eccessive del rilevato:l’argine del bacino superiore aveva un’altezza di 34 metri, la pendenza raggiungeva l’80 per cento, pari ad un angolo di 40 gradi, le discariche erano costruite su un declivio con pendenza media del 25 per cento circa; nella decisione di accrescere l’argine con il sistema “a monte”, il più rapido e il più economico ma anche il più insicuro;nell’errata collocazione delle tubazioni di sfioro delle acque di decantazione:sul fondo dei bacini e attraverso gli argini.

CHI HA PAGATO PER TUTTI I MORTI – Il processo di primo grado si svolse a Trento e si concluse l’8 luglio 1988 con la condanna di 10 imputati giudicati colpevoli dei reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo e cioè: dei responsabili della costruzione e gestione del bacino superiore che crollò per primo: i direttori della miniera e alcuni responsabili delle società che intervennero nelle scelte circa la costruzione e la crescita del bacino superiore dal 1969 al 1985 e dei responsabili del Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento che omisero del tutto i controlli sulle discariche.

Durante tutto il processo campeggiò in fondo al sala del tribunale una tabella con scritti tutti i nomi dei 268 morti e con la frase: «Chiedono giustizia»

Il procedimento penale si è concluso dopo altri 4 gradi di giudizio con la seconda sentenza della Corte di Cassazione, emessa il 22 giugno 1992, che ha confermato le condanne pronunciate in primo grado.

Le pene di reclusione sono state ridotte e condonate nel corso dei vari gradi di giudizio. Nessuno dei condannati ha scontato la pena detentiva.


L'articolo 39 anni fa l’immane tragedia di Stava: per non dimenticare! proviene da La voce del Trentino.

]]>
La zona morta: 46 anni fa lo scoppio della Sloi ricordato in un podcast https://www.lavocedeltrentino.it/2024/07/15/la-zona-morta-46-anni-fa-lo-scoppio-della-sloi-ricordato-in-un-podcast/ Mon, 15 Jul 2024 16:13:54 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=469336 La zona morta: 46 anni fa lo scoppio della Sloi ricordato in un podcast

Nella serata di ieri, 14 luglio 1978, un temporale interessò l’area della città di Trento. Alle 21:50 presso lo stabilimento SLOI, posizionato a nord della città, si sviluppò un incendio a seguito del contatto della pioggia, entrata in un capannone, con il sodio contenuto in un barile incrinato. Una reazione a catena provocò lo scoppio di […]

L'articolo La zona morta: 46 anni fa lo scoppio della Sloi ricordato in un podcast proviene da La voce del Trentino.

]]>
La zona morta: 46 anni fa lo scoppio della Sloi ricordato in un podcast

Nella serata di ieri, 14 luglio 1978, un temporale interessò l’area della città di Trento. Alle 21:50 presso lo stabilimento SLOI, posizionato a nord della città, si sviluppò un incendio a seguito del contatto della pioggia, entrata in un capannone, con il sodio contenuto in un barile incrinato.

Una reazione a catena provocò lo scoppio di diversi barili (erano presenti nel magazzino circa 300 fusti di sodio), sviluppando un incendio che coinvolse lo stabilimento ed una nube tossica che interessò una parte della città.

Nelle cronache del tempo si descrive che “la nube di fumo era diventata gigantesca, sovrastava Campo Trentino, aveva investito le case di via Soprasasso, di Roncafort, Gardolo spostandosi, portata dal vento, ora verso il rione di Cristo Re ora verso Martignano; una nube di soda caustica spinta in alto da un rogo che aveva raggiunto i 1200 gradi”. Venne ipotizzato lo sgombero di diversi quartieri della città.

L’intervento del Corpo Permanente dei Vigili del fuoco di Trento, con il getto di 540 quintali di polvere di cemento (non acqua in quanto avrebbe aggravato l’incendio), evitò che le fiamme interessassero il piombo tetraetile presente nello stabilimento, scongiurando quindi un’enorme esplosione e lo sviluppo di gas con conseguenze catastrofiche per la popolazione ed il territorio.

La nostra redazione ha dedicato un podcast sull’avvenimento che poteva cancellare la città di Trento. Nel podcast (da non perdere clicca qui per ascoltare il podcast) dal titolo «la zona morta», registrato l’anno scorso, il nostro editore Roberto Conci (allora 16 enne) racconta come ha vissuto quelle ore di terrore. Il racconto di un giovane che forse come molti altri non era ben consapevole di quello che stava succedendo. 

Il nostro editore allora abitava insieme alla famiglia a circa 300 metri dalla Sloi. Un racconto drammatico dove si racconta anche come i vigili del fuoco riuscirono grazie all’idea del loro comandante scongiurare il peggio in mezzo ad un fuggi fuggi generale di persone che andavano sulla collina per tentare di salvarsi. (clicca qui per ascoltare il podcast)

L'articolo La zona morta: 46 anni fa lo scoppio della Sloi ricordato in un podcast proviene da La voce del Trentino.

]]>
30 anni fa uno dei più nobili gesti della storia di Trento https://www.lavocedeltrentino.it/2024/06/13/30-anni-fa-uno-dei-piu-nobili-gesti-della-storia-di-trento/ Thu, 13 Jun 2024 07:07:34 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=463620 30 anni fa uno dei più nobili gesti della storia di Trento

Roberto Endrizzi: «Quando una persona è onesta lo è per sempre»

L'articolo 30 anni fa uno dei più nobili gesti della storia di Trento proviene da La voce del Trentino.

]]>
30 anni fa uno dei più nobili gesti della storia di Trento

Il 14 giugno del 1994 Roberto Endrizzi (nella foto) 30 enne di Mezzocorona, cammina in via Maccani quando trova su una siepe un borsello di plastica nera che contiene la bellezza di 23 milioni di lire di cui 13 in contanti e 10 in assegni. La cifra in contanti ritrovata allora varrebbe oggi circa 15 mila euro. 

Dopo averla raccolta senza il minimo indugio la consegna alla Questura che dopo alcune ore di indagini la riconsegna al legittimo proprietario, un benzinaio che aveva appoggiato il borsello con l’incasso sopra il tetto della sua macchina. Poi ripartendo il borsello era stato dimenticato ed era finito alla prima curva sopra una siepe non distante dalla sua attività. 

Roberto Endrizzi oggi 60 enne ricorda ancora molto bene quell’episodio che in certo senso ha segnato la sua vita. «Stavo andando a prendere il mio socio, infatti avevo appena aperto un’azienda a pochi mentri dal distributore quando ho notato questo borsello nero lasciato sopra una siepe. Istintivamente senza pensarci l’ho raccolto e aperto e ho visto dentro questa montagna di soldi e degli assegni»

Roberto Endrizzi ammette: «Avevo appena aperto un’attività e quei soldi mi avrebbero fatto comodissimo. Ma non ho indugiato un secondo mettendo in pratica quello che mi miei genitori mi avevano insegnato». 

Il benzinaio regalò il 5% della somma ritrovata con la quale Roberto offrì una cena a tutti i suoi clienti. «Mio padre gestiva il ristorante all’Orrido ed era simpatizzante nel vecchio partito socialista in grave crisi allora per lo scoppio di tangentopoli. I vertici del partito – ricorda ancora Roberto –  chiesero per settimane intere a mio padre di convincermi a candidare. Ma io dissi sempre di no»

Roberto Endrizzi dopo questo gesto di grande onestà ricevette per un paio di mesi lettere di ringraziamento e vicinanza da tutto il mondo, «Anche da Stati Uniti e Australia, e mi chiedevo come facessero a sapere questa storia» –  conclude Roberto

Ora Roberto da anni è autista per le poste Italiane e si è trasferito da Mezzocorona a Pergine dove sta di nuovo traslocando in questi giorni verso Levico Terme. Alla domanda se rifarebbe oggi la stessa cosa sorride: «Certo che sì, quando una persona è onesta lo è per sempre».

Alcune settimane prima, sempre nel 1994, era successa un’altra cosa simile, benchè molto meno importante, ma degna di nota. Sul bancone del negozio Domolux di via Manci a Trento il titolare trova una busta. La apre e trova insieme ad una banconota di 100 mila lire un foglietto con scritto: «Nel 1988 (sei anni prima quindi) rubai, qui nel suo negozio, i libretti di un compact disc, gli stessi inseriti in questa busta. Consapevole di aver compiuto un atto infame e desideroso di rimediare, le porgo sentitamente le scuse restituendole ciò che le appartiene. I soldi contenuti nella busta sono tra i primi che ho potuto guadagnarmi lavorando (prima studiavo) e rapprensentano il necessario risarcimento danni. La prego di perdonare il mio inqualificabile comportamento grazie»

L'articolo 30 anni fa uno dei più nobili gesti della storia di Trento proviene da La voce del Trentino.

]]>
29 anni fa la visita di Papa Giovanni Paolo II a Trento https://www.lavocedeltrentino.it/2024/04/29/29-anni-fa-la-visita-di-papa-giovanni-paolo-ii-a-trento/ Mon, 29 Apr 2024 04:01:49 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=454702 29 anni fa la visita di Papa Giovanni Paolo II a Trento

Una testimonianza indelebile che rimane tutt'ora nei ricordi di tutti i trentini

L'articolo 29 anni fa la visita di Papa Giovanni Paolo II a Trento proviene da La voce del Trentino.

]]>
29 anni fa la visita di Papa Giovanni Paolo II a Trento

Alle 19.00 di sabato 29 aprile 1995, esattamente 29 anni fa a Trento, volteggiava un elicottero bianco sulla città

Dieci minuti dopo in piazza Duomo arrivava la mercedes bianca, anche quella con dentro il Papa applaudito freneticamente dalla folla. Prima di spuntare nella piazza centrale di Trento il Papa Polacco, maestro nella comunicazione, aveva percorso alcune vie di Trento tra due ali di folla commossa.

Sono stati molti coloro che dall’emozione si erano messi a piangere solo vedendolo passare fra le vie di Trento. Il papa durante la sua due giorni trentina parla spesso a braccio citando Alcide Degasperi, Antonio Rosmini e Chiara Lubich. Ogni sua frase è accompagnata da applausi e sorrisi. Un Papa che ha saputo come infiammare le folle che lo ascoltano attente e felici. Un Papa che non divide ma unisce. Forse l’unico del nostro tempo contemporaneo. Forse il più grande di tutti.

L’occasione della sua visita è il 450esimo anniversario dell’apertura del concilio di Trento e gli 850 anni dalla consacrazione della Basilica. Papa Giovanni Paolo II dormirà in piazza Fiera e il giorno dopo nella spianata dell’interporto celebrerà la messa davanti a migliaia di fedeli. Per Trento è un momento quasi epico, l’aria frizzante e felice che correva in ogni casa lo ha testimoniato.

Papa Giovanni Paolo II ha visitato cinque volte il territorio trentino, tra l’agosto del 1979 e l’aprile del 1995, e queste sue visite si sono legate fortemente alla storia di questa terra e del suo popolo.

Eventi che la popolazione trentina ha vissuto con emozione e che hanno lasciato ricordi indelebili nel tempo e che si sono impressi nella memoria del popolo trentino. Una fra tutte l’immagine del Papa inginocchiato nel cimitero di Tesero davanti alla lapide con i nomi delle 268 vittime di Stava.

Molti i ricordi di quella due giorni del Papa a Trento. Dall’incontro con la cittadinanza in piazza Duomo alla recita del regina Coeli, oppure l’incontro di preghiera sempre un piazza Duomo per la commemorazione del 450° anniversario del concilio. Ma sopratutto l’incontro tradizionale con i giovani in piazza Fiera che il Papa ha voluto fortemente. 

Sono state molte le persone che in quei giorni si sono avvicinati a Dio grazie alla visita del Papa. E i molti trentini che portano nei portafogli il santino del Papa Polacco lo devono proprio a quella visita.

Chi lo ricorda, ancora oggi, mentre stringe le mani dei trentini rimane commosso e con un nodo alla gola consapevole ci aver visto nella nostra città probabilmente il più grande Papa della storia mondiale contemporanea che in molti ancora compiangono e ricordano con grande emozione. (sotto il video che riassume la sua visita a Trento)

Esattamente 10 anni dopo, il 2 aprile 2005 Giovanni Paolo II moriva. E’ stato uno dei pontefici più amati dei tempi moderni. Giovanni Paolo secondo fu beatifico il 1º maggio 2011 dal suo successore papa Benedetto XVI e proclamato Santo il 27 aprile 2014 da Papa Francesco. Viene festeggiato nel giorno del suo insediamento, il 22 ottobre. È protettore della Giornata della Gioventù.

La sofferenza degli ultimi anni di vita di Giovanni Paolo II è rimasta impressa negli occhi e nel cuore di ognuno di noi. Nel viso, nei gesti, nelle parole di Wojtila traspariva tutta la sofferenza di un uomo che ha dedicato la sua vita a Cristo e alla Chiesa, la sofferenza di ognuno di noi, il dramma della vita.

La sofferenza di Giovanni Paolo II ha squarciato il XX secolo lasciando una testimonianza di fede e speranza. La sofferenza del vecchio papa non è mai stata fine a se stessa e non è mai stata vissuta con disperazione e rassegnazione.

La sua fede fonte di speranza leniva le piaghe del suo corpo. Quel Papa ha sperimentato su di se la passione redentrice di Cristo e l’amore incondizionato per l’uomo. Amore, sofferenza, fede e redenzione forse i valori più importanti della vita di Giovanni Paolo II.

L'articolo 29 anni fa la visita di Papa Giovanni Paolo II a Trento proviene da La voce del Trentino.

]]>
35 anni fa cinque vigili del fuoco Trentini salvarono il ferrarista Berger da morte certa https://www.lavocedeltrentino.it/2024/04/23/35-anni-fa-cinque-vigili-del-fuoco-trentini-salvarono-il-ferrarista-berger-da-morte-certa/ Tue, 23 Apr 2024 05:17:05 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=453899 35 anni fa cinque vigili del fuoco Trentini salvarono il ferrarista Berger da morte certa

La data del 23 aprile 1989 è ben impressa nella mente degli appassionati di Formula 1, della Ferrari e anche di numerosi trentini. Gerhard Berger, che quel giorno era impegnato nel Gran Premio di San Marino al volante della Rossa, andò rovinosamente a sbattere alla curva del ‘Tamburello’ a causa di un cedimento dell’ala anteriore […]

L'articolo 35 anni fa cinque vigili del fuoco Trentini salvarono il ferrarista Berger da morte certa proviene da La voce del Trentino.

]]>
35 anni fa cinque vigili del fuoco Trentini salvarono il ferrarista Berger da morte certa

La data del 23 aprile 1989 è ben impressa nella mente degli appassionati di Formula 1, della Ferrari e anche di numerosi trentini.

Gerhard Berger, che quel giorno era impegnato nel Gran Premio di San Marino al volante della Rossa, andò rovinosamente a sbattere alla curva del ‘Tamburello’ a causa di un cedimento dell’ala anteriore nel corso del quarto giro, quando il pilota di Maranello era risalito quarto.

Un incidente violento alla velocità di circa 290 km/h che, in pochi secondi, aveva praticamente ammutolito tutti, sia i presenti sulle tribune che i commentatori TV, perché la benzina persa dalla 640 dell’austriaco prese fuoco avvolgendo in pochissimi secondi il relitto. (clicca qui per vedere il video dell’incidente)

Berger non era riuscito a saltare fuori dalla macchina dopo il tremendo impatto contro le barriere e le possibilità che morisse bruciato erano ormai delle certezze nella mente e negli occhi di tutti.

Invece il prodigioso intervento degli uomini del servizio antincendio, i famosi ‘Leoni’ della CEA, sventò la tragedia in pochissimi secondi. 

Tra i primi ad intervenire dopo il terribile schianto c’erano anche 5 trentini, addetti appunto al servizio antincendio dei gran premi di san marino e d’ Italia, vigili del fuoco allora specializzatisi in corsi specifici per queste tipologie di incidenti. Erano Renzo Zambaldi, Armando Groff, Enzo Martinoni, Corrado Buratti, e Diego Gasperotti.

La complessità dell’intervento era data non solo dalle fiamme, che come detto si sprigionarono in pochissimi secondi, ma anche da fatto che in quel punto le vetture arrivavano a tutta velocità dopo essere transitate sul rettilineo principale.

I vigili del fuoco salvarono il ferrarista da morte cerca in soli 20 secondi. Con i nuovi regolamenti di oggi che certificano il via libera ai salvataggi solo dopo la conferma del commissario Berger sarebbe morto.

Come si può vedere dai video presenti sul web, sul posto la scena era quasi apocalittica, con il relitto della Ferrari che era una palla di fuoco e calore, praticamente inavvicinabile se non con prontezza di spirito e competenze che quegli addetti ai lavori riuscirono a mostrare al mondo intero. (clicca qui per vedere il video dell’incidente)

L'articolo 35 anni fa cinque vigili del fuoco Trentini salvarono il ferrarista Berger da morte certa proviene da La voce del Trentino.

]]>
41 anni fa l’omicidio «Ludwig» che sconvolse la città di Trento https://www.lavocedeltrentino.it/2024/02/27/41-anni-fa-lomicidio-ludwig-che-sconvolse-la-citta-di-trento/ Tue, 27 Feb 2024 18:30:03 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=445019 41 anni fa l’omicidio «Ludwig» che sconvolse la città di Trento

Trento, febbraio 1983. Il sacerdote Armando Bison muore trafitto da un punteruolo da scalpellino conficcato nel cranio, sopra il quale è stato saldato un crocifisso di legno. Era membro dei serviti, un ordine religioso poco noto fondato nel 1926, che si occupa del recupero degli ecclesiastici che hanno perso la fede. Successe a cavallo della mezzanotte del […]

L'articolo 41 anni fa l’omicidio «Ludwig» che sconvolse la città di Trento proviene da La voce del Trentino.

]]>
41 anni fa l’omicidio «Ludwig» che sconvolse la città di Trento

Trento, febbraio 1983. Il sacerdote Armando Bison muore trafitto da un punteruolo da scalpellino conficcato nel cranio, sopra il quale è stato saldato un crocifisso di legno.

Era membro dei serviti, un ordine religioso poco noto fondato nel 1926, che si occupa del recupero degli ecclesiastici che hanno perso la fede.

Successe a cavallo della mezzanotte del 26 febbraio 1983, in via Giardini a Trento. In questo modo Marco Furlan e Wolfgang Abel, (nella foto) gli allora giovani veronesi che avevano creato “Ludwig”, ferirono gravemente don Armando Bison, 71 anni, residente nel convento dei padri Venturini.

Il sacerdote dopo una decina di giorni di agonia morì l’8 marzo. Così Ludwig è entrato nella storia nera di Trento. Va ricordato anche che Trento contò una seconda vittima di Ludwig, un professionista che morì nel maggio 1983 nel rogo di un cinema milanese appiccato da Furlan e Abel.

Ora i due assassini sono uomini liberi, hanno scontato la loro pena ed hanno diritto ad entrare un po’ alla volta nell’oblio. Nessun oblio però deve essere consentito al loro fanatismo ed alla loro ideologia nazista. L’omicidio di padre Bison, uno dei 28 da loro perpetrati con il corollario di 39 feriti, non fu casuale, ma ben preparato.

Furlan e Abel verranno condannati a 30 anni di carcere ciascuno, evitando così l’ergastolo solo perché viene loro riconosciuta la semi infermità mentale. Particolare inquietante: durante il processo alcuni elementi fecero pensare che il nome Ludwig nascondesse, in realtà, una banda più numerosa perché per l’esecuzione di alcuni delitti sarebbero stati necessari dei complici.

Nel 1988, in attesa del processo d’appello, scaduti i termini per decorrenza dei tempi di carcerazione, i due serial killer vennero scarcerati e mandati in soggiorno obbligato in paesini di provincia, con l’obbligo di firmare tre volte al giorno il registro alla caserma dei carabinieri.

Abel e Furlan ne approfittano per tagliare la corda. Il primo venne catturato dai carabinieri dopo pochi chilometri, il secondo fu arrestato solo nel 1995, nell’isola greca di Creta dopo anni di latitanza. Pur di non tornare in prigione tentò la via del suicidio impiccandosi, ma la cosa non riuscì. Nel frattempo, in appello la sua condanna e quella di Abel erano state ridotte a 27 anni.

Entrambi finirono di scontare la pena anticipatamente: Wolfgang Abel nel 2007 e Marco Furlan nel 2009. Abel vive oggi in una casa ad Arbizzano, sulle colline veronesi, mentre Furlan pare sia all’estero.

I due prima di iniziare la vita del killer erano ragazzi modello, dalla vita esemplare: Marco Furlan stava per laurearsi in Fisica mentre Wolfgang Abel, laureato in Matematica con il massimo dei voti, lavorava con il padre nella stessa compagnia assicurativa.

Pur essendo ricchi, i due amici giravano in bicicletta, detestano i locali alla moda e spendevano solo per viaggiare. Amavano le passeggiate in montagna, dove discutevano dei loro filosofi preferiti: Kant, Spinoza e Kierkegaard. Erano insomma una coppia di “raffinati intellettuali” che nessuno  immaginava essere degli efferati assassini.

Invece i due serial killer saranno riconosciuti come autori di vari omicidi perpetrati nell’Italia nord-orientale, in Germania e nei Paesi Bassi tra il 25 agosto 1977 e l’8 gennaio 1984, rivendicati con volantini di contenuto neonazista e firmati con lo pseudonimo Ludwig.

La loro folle corsa ebbe finalmente termine a Torino nel febbraio 1983 dove vennero scoperti mentre tentavano di dare fuoco ad un cinema.

Una volta scoperti, i due assassini tentarono di aggredire il buttafuori per fuggire, ma furono bloccati, accerchiati dalla folla e infine arrestati dalla polizia, che li salvò dal linciaggio da parte degli avventori del locale.

Il numero delle azioni omicide di Ludwig si concluse così con 28 morti e 39 feriti.

L'articolo 41 anni fa l’omicidio «Ludwig» che sconvolse la città di Trento proviene da La voce del Trentino.

]]>