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Viaggi & Turismo

Accoglienza in alta quota: ecco come si gestisce un rifugio alpino

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Abbiamo intervistato la guida alpina Franco Nicolini gestore del Rifugio Tosa Pedrotti

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Nell'immagine, l'alba vista dal Rifugio Tosa Pedrotti
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Il rifugio di montagna viene spesso usato dai turisti come punto d’appoggio per traversate di più giorni, oppure come meta finale di una camminata. Spesso, la quota a cui si trova oppure la posizione difficilmente raggiungibile richiedono enormi difficoltà nell’approvvigionamento.

Gestire un rifugio, insomma non è per nulla semplice e per farlo sarebbe necessario possedere determinate competenze, che vanno ben oltre quelle della ristorazione.

A parlarcene è la guida alpina Franco Nicolini, gestore del Rifugio Tosa Pedrotti.

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Franco, come viene assegnata la gestione di un rifugio?

“Ad oggi i rifugi vengono dati in gestione con delle aste da parte della SAT o dell’amministrazione pubblica. Questo sistema fa sì che si possa andare a rialzo sulla parte economica, rischiando però di trovare acquirenti senza specifiche competenze. Un rifugista, specie in alta quota deve essere in grado di dare precise indicazioni sullo stato dei sentieri e delle vie ferrate.

Quali sono le competenze che secondo te un rifugista dovrebbe avere?

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“Innanzitutto, il rifugista dovrebbe essere un uomo di montagna, meglio se con il titolo di guida alpina. La funzione di un rifugio è infatti quella di dare assistenza alle persone in diverse situazioni, che possono essere ad esempio un temporale passeggero oppure un infortunio. Come dicevo prima, un gestore deve poi essere in grado di fornire indicazioni dettagliate sugli itinerari nei dintorni del rifugio, nonché sulle condizioni meteo, che in alcune escursioni giocano un ruolo fondamentale. Lavorare in un rifugio significa anche fare gioco di squadra. Oltre al personale alpinisticamente competente, un ruolo importante lo svolgono poi i cuochi e i camerieri.”

Da chi è formata la tua squadra?

“Il rifugio io lo gestisco assieme alla mia famiglia. Con me lavorano infatti anche mia moglie, i miei due figli e il mio genero. Completano la squadra alcuni dipendenti. Entrambi i miei figli sono iscritti al soccorso alpino e sono abilitati all’utilizzo del defibrillatore.”

Quali sono i pro e i contro del tuo lavoro?

“Dar soccorso alle persone è sempre una soddisfazione. Qualche giorno fa abbiamo dato assistenza a due persone. Senza entrare nei dettagli posso dire a posteriori che le abbiamo letteralmente tirate fuori dai guai. Gestire un rifugio però significa anche lavorare senza orari: c’è spesso e volentieri chi bussa alla porta quando il buio è già calato oppure che sta male durante la notte. Questo essere reperibili ad ogni ora del giorno dopo un po’ diventa stancante.

Inoltre, molti clienti non hanno ancora capito che il rifugio non è un albergo e nemmeno un ristorante, bensì un presidio. L’idea del “pago e pretendo”, specie in alta quota andrebbe quindi messa da parte, come certe richieste particolari riguardo al cibo. Quando si va in montagna bisogna ricordarsi di mettere nello zaino un po’ di spirito di adattamento.”

Trovate tanta gente che affronta la montagna in maniera incosciente oppure con attrezzatura inadeguata?

“Vediamo di tutto, ma ormai non ci arrabbiamo più. Purtroppo, da dopo il COVID è esplosa la mania degli influencer della montagna. Spesso però queste persone sono tutt’altro che competenti e fanno passare informazioni incomplete o errate riguardo ai luoghi mostrati sui profili social.”

Come vengono effettuati i rifornimenti?

“Abbiamo una teleferica che parte dal paese e arriva fin sotto il rifugio. Questa comporta determinate spese, nonché l’impiego di due persone per farla funzionare. La teleferica può portare al massimo 200 kg e per compiere l’intera tratta ci mette circa 40 minuti. A causa della durata del viaggio talvolta la carne appena comprata arriva già scaldata e siamo costretti a buttarla. 

Due settimane fa dei ragazzi che avevano campeggiato con la tenda nei pressi del rifugio mi hanno chiesto il permesso di caricarla sulla teleferica per portarla a valle. Ovviamente gli ho detto di no, e come ringraziamento mi hanno lasciato presso la stazione di partenza un sacco pieno di immondizie.”

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