La Voce della FAI CISL
Made in Immigritaly: primo rapporto sui lavoratori immigrati nel settore agroalimentare

Il 7 giugno alle ore 10.00 presso la sala di Rappresentanza della Regione Trentino A.A. in via Gazzoletti, 2 a Trento, la Fai Cisl del Trentino in collaborazione con la Fai Cisl nazionale, presenta il primo rapporto sui lavoratori immigrati nel settore agroalimentare.
Questo primo studio (copia del volume verrà distribuita ai presenti fino ad esaurimento copie), ha approfondito il fenomeno in otto Regioni Italiane tra cui la Provincia Autonoma di Trento, in particolare la Val di Non con la produzione delle mele.
A fare gli onori di casa sarà il Segretario Generale della Fai Cisl del Trentino Katia Negri seguita dai saluti della Cisl Usr del Trentino con il Segretario Generale Michele Bezzi.
Interverranno Giulia Zanotelli (Assessora all’agricoltura e all’ambiente), Giulia Casonato (Assessora con delega alla transizione verde del Comune di Trento), Paola Garbari (Servizio lavoro PAT), Stefania Terlizzi (Agenzia del lavoro PAT), Serena Piovesan (Sociologa che ha condotto lo studio in Trentino) e Rando Devole (Esperto di migrazioni FAI CISL nazionale).
Modera l’evento la Dottoressa Luisa Chiodi Direttrice OBCT/CCI (Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa) mentre le conclusioni saranno affidate ad Onofrio Rota Segretario Generale della FAI CISL nazionale. Tra i presenti in sala, ci saranno diversi rappresentanti delle Istituzioni e delle Associazioni di rappresentanza agricola oltre alle Associazioni di rappresentanza delle diverse etnie presenti in Trentino.
Made in Immigritaly in sintesi – “Made in Immigritaly: terre, colture, culture” è il primo rapporto nazionale, curato dal Centro Studi Confronti e commissionato dalla FAI CISL, che studia e mette in luce l’apporto del lavoro immigrato nel settore agro-alimentare italiano, comparto strategico della produzione made in Italy per la sua eccellenza riconosciuta a livello internazionale.
Il perché di una ricerca – In agricoltura, gli stranieri occupati nel settore sono quasi 362.000 alla fine del 2022, e coprono circa il 31,7% delle giornate di lavoro registrate. Eppure, di questa realtà si parla raramente e il lavoro degli immigrati nelle filiere dell’agroindustria nazionale rimane in gran parte invisibile. Per rispondere a questa lacuna, il Rapporto “Made in Immigritaly: terre, colture, culture” analizza entità e modalità di questo contributo, con particolare attenzione al comparto produttivo del cibo made in Italy. Il suo scopo è sollecitarne il riconoscimento pubblico, illustrando la misura concreta di quanto l’eccellenza del cibo italiano dipenda dal lavoro di braccianti, mungitori e operai provenienti da molti Paesi del mondo.
Il lavoro migrante nell’agroindustria italiana: tra eccellenz(e) e invisibilizzazione – A differenza di altri studi sul tema, maggiormente focalizzati sul problema persistente dello sfruttamento agricolo, il Rapporto esamina i modi in cui il lavoro immigrato viene gestito in contesti specifici – diversificati per caratteristiche socioeconomiche del territorio e per assetti produttivi settoriali – e analizza, oltre alle criticità, i diversi profili del fenomeno, inclusi gli esiti più incoraggianti, frutto di meccanismi virtuosi di cooperazione, apprendimento reciproco, integrazione locale che si stanno realizzando sui luoghi di lavoro.
I dati raccolti, da una parte, dimostrano il carattere essenziale del contributo immigrato al made in Italy, rivelando le sue differenti declinazioni a seconda delle aree territoriali, delle specializzazioni e dei diversi livelli di stabilità/stagionalità. Dall’altra, raccontano la persistenza di criticità strutturali e la mancata integrazione tra la cittadinanza economica e la cittadinanza socio-politica dei lavoratori immigrati, non solo in contesti produttivi caratterizzati da forme di sfruttamento grave, ma anche in quelli in cui il lavoro straniero è più regolarmente inquadrato e meglio tutelato.
Terre, colture, culture: nove declinazioni locali di un fenomeno nazionale – Il Rapporto si compone di tre sezioni, ognuna delle quali contribuisce a restituire la complessità del fenomeno analizzato e la sua relazione con temi cruciali come le relazioni tra contesti locali e lavoratori stranieri, il funzionamento della regolazione del loro impiego, il ruolo degli attori sociali e le modalità di integrazione sociale al di fuori dei luoghi di lavoro.
Nella I parte, si analizzano i rapporti tra migrazione e agro-industria italiana, adottando una prospettiva interdisciplinare, con contributi storici, sociologici e politologici.
Nella II parte, sono presentati invece nove casi studio territoriali effettuati in otto regioni italiane: il Piemonte (in particolare, l’area di Saluzzo e la frutticoltura), la Lombardia (pianura della bassa bergamasca, specializzata nella produzione lattiero-casearia), il Trentino (in particolare, la Val di Non, con la produzione delle mele), il Veneto (la produzione di asparagi tra bassa padovana e Polesine, e l’area vitivinicola della Valpolicella, in provincia di Verona),
l’area modenese (lavorazione delle carni) e quella romagnola (in particolare, la produzione avicola), la Campania ( l’area di Castel Volturno), la Puglia (l’area della Capitanata con la raccolta del pomodoro) e, infine, la Sicilia (la “fascia trasformata del ragusano” e le coltivazioni in serra).
Infine, la III parte, trae le conclusioni di questa mappa delle forme d’impiego degli immigrati nel comparto del cibo made in Italy e propone raccomandazioni politiche per la regolamentazione, la tutela e il riconoscimento di un fenomeno che, con ogni probabilità, è destinato a crescere nel tempo.
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