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Frankenstein di OHT al SanbàPolis di Trento

Dopo il debutto lo scorso 8 febbraio al Teatro Astra di Torino, l’ultimo lavoro firmato OHT arriva al Teatro SanbàPolis di Trento il 31 marzo e il primo aprile nell’ambito della Stagione Regionale Contemporaneaprogrammata dal Centro Servizi Culturali S. Chiara in collaborazione con il Teatro Stabile di Bolzano e il Coordinamento Teatrale Trentino.
In questa nuova produzione lo studio del regista roveretano Filippo Andreatta si misura per la prima volta con un classico della letteratura occidentale: Frankenstein, o il moderno Prometeo.
Scritto da un’autrice ancora adolescente con l’intento di incutere paura, il capolavoro di Mary Shelley anticipa in realtà la contemporanea ansia climatica, che OHT raccoglie nella sua versione innescando lo stesso corto-circuito all’origine della creatura di Frankenstein e invitandoci a fare i conti con quello che siamo soliti omettere alla vista e consideriamo mostruoso.
Pubblicato subito dopo l’eruzione vulcanica più potente mai registrata dall’uomo, Frankenstein non è solo un’icona letteraria ma, innanzitutto, una reazione all’anomalia climatica provocata dal vulcano Tambora in Indonesia.
Secondo i climatologi l’eruzione provocò l’Anno-Senza-Estate, un periodo distopico a causa della nebbia sulfurea che offuscò la stratosfera, abbassò le temperature, provocò violenti e continui temporali con notevoli danni all’agricoltura e conseguenti carestie in Europa, Nord America e Asia. Era il 1816 e in quell’atmosfera Mary Shelley scrisse Frankenstein.
Vicino alle sfumature politiche della ricerca di OHT, Frankenstein è un mito in cui i paesaggi esteriori si confondono con quelli interiori. Gli strapiombi del monte Bianco diventano vertigini intime e personali nell’incontro fra il mostro e il suo creatore; luoghi inaccessibili come le Alpi e l’Antartide si fanno rifugio determinante per una creatura inafferrabile, che in essi impara a conoscersi attraverso i fenomeni naturali che vi si manifestano. Il demone e quei paesaggi diventano un tutt’uno mentre Victor Frankenstein non sembra più in controllo di ciò che lo circonda.
La radicalità del lavoro di Shelley si materializza nell’emancipazione della creatura. Inaspettatamente, Frankenstein si rivela come un contemporaneo romanzo di formazione. L’interpretazione di Frankenstein(che è in realtà il creatore e non la creatura come si tende a credere), ha sempre prevalso su quella del mostro anche se il cuore del libro risiede nella conoscenza da parte della creatura di sé stessa, del linguaggio e del mondo.
Da questo scarto, da questa esclusione nasce il lavoro di OHT: per la prima volta è il mostro a parlare, e prende la parola non come escluso ma come artefice del nostro immaginario, come un nostro concittadino, come un nostro pari mostruoso. Finalmente, il mostro rinasce rivelandosi come un neonato della letteratura occidentale; un bambino a cui appaiono i primi colori, le forme acquisiscono volume, le cui mani iniziano ad afferrare, la gola e le labbra – fino a quel momento capaci soltanto di grida gutturali – articolano le prime parole.
La nuova produzione di OHT si muove dall’esperimento del dottor Frankenstein e, tralasciando la narrazione, opera affondi nel testo, senza limiti di forma, linguaggio e durata.
L’opera di Shelley diventa per OHT materiale da esaminare, sezionare, ricucire per esperimenti scenici diversi: uno spettacolo teatrale – in scena tra qualche giorno al Teatro Sanbàpolis di Trento – ma anche una reading session, un’installazione, un radiodramma: tutte parti di una stessa sperimentazione che avanza orizzontalmente nel romanzo per indagarne le molteplici ramificazioni.
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