Riflessioni fra Cronaca e Storia Archivi - La voce del Trentino https://www.lavocedeltrentino.it/category/home/arte-e-cultura/riflessioni-fra-cronaca-e-storia/ Quotidiano online indipendente Tue, 03 Sep 2024 10:23:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 Il dopo 8 settembre 1943 in Trentino https://www.lavocedeltrentino.it/2024/09/03/il-dopo-8-settembre-1943-in-trentino/ Tue, 03 Sep 2024 10:23:46 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=477744 Il dopo 8 settembre 1943 in Trentino

Dopo l’8 settembre 1943 quello che è oggi il Trentino e l’ ‘ Alto Adige, nonchè l’ attuale provincia di Belluno, fece parte della “zona di operazione delle Prealpi” (Alpenvorland) e venne posta sotto il comando militare del Gauleiter di Innsbruck, Franz Hofer. A differenza che nella zona di Belluno, nel Feltrino e nel Vicentino, […]

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Il dopo 8 settembre 1943 in Trentino

Dopo l’8 settembre 1943 quello che è oggi il Trentino e l’ ‘ Alto Adige, nonchè l’ attuale provincia di Belluno, fece parte della “zona di operazione delle Prealpi” (Alpenvorland) e venne posta sotto il comando militare del Gauleiter di Innsbruck, Franz Hofer.

A differenza che nella zona di Belluno, nel Feltrino e nel Vicentino, che ebbero una storia del tutto diversa, i nazisti attuarono una politica prudente basata su alcuni semplici caposaldi: proibizione in Trentino e in Alto Adige delle organizzazioni fasciste, chiusura delle loro sedi, divieto alle milizie repubblichine di oltrepassare i confini della attuale regione – che, quindi, venne di fatto, anzi manu militari, sottratta alla sovranità della neocostituita Repubblica di Salò -, leva obbligatoria dei giovani trentini e altoatesini in un corpo militare con compiti però esclusivamente di sicurezza – un plotone di essi venne attaccato a Roma in via Rasella, provocando la rappresaglia tedesca ben nota -, mantenimento dei rifornimenti alimentari alla popolazione, ancorchè razionati, nomina a capo della amministrazione civile quale Prefetto dell’ avv. Adolfo de Bertolini, figura liberale ed antifascista di Trento cui va il merito di avere attutito gli effetti dell’ occupazione tedesca in regione, assieme al Colonnello dei Carabinieri Michele de Finis, mantenuto nella carica.

La costruzione polico-militare anzidetta di fatto impedì il sorgere di un movimento di resistenza armata organizzata come nel resto del Nord Italia, essendo assente la principale spinta data dalla necessità politica di scontrarsi con le forze repubblichine, di fatto estromesse dal territorio trentino.

Questa particolarità è stata acutamente messa in luce dallo storico prof. Vincenzo Calì (*) (in atti della conferenza tenuta a Riva del Garda il 9 maggio 1994, sul tema: “La Resistenza in una provincia di confine”) il quale ha poi osservato che solo dall’ estate 1944 la resistenza trentina ebbe a formarsi nella esclusiva ottica della guerra di liberazione dal tedesco invasore, e solo di riflesso contro il fascismo di fatto non più esistente da tempo in Trentino.

Ma l’operazione politica sopra accennata produsse altri più rilevanti effetti, non solo riconducibili alla sola dimensione militare, e cioè all’esigenza di garantire la sicurezza del Brennero come via di rifornimento al fronte italico. In realtà i nazisti miravano probabilmente a porre i fondamenti politici e amministrativi di una futura  completa annessione del Trentino al Reich.

L’incontro del Gauleiter Hofer subito dopo l’8 settembre 43 con l’amministrazione trentina di allora, doveva lasciare ai trentini l’ illusione di una sorta di “autonomia” all’interno del Terzo Reich.

L’evento, anche se la questione è dibattuta, fu comunque accolto favorevolmente dall’opinione pubblica trentina (**) ( così Giuseppe Ferrandi, “Resistenza armata e resistenza civile, riflessioni sul caso trentino” in “Archivio Trentino di Storia Contemporanea” 1. – 1995 ).

Sul punto non è da dimenticare che i trentini avevano conosciuto l’Italia dopo la Prima Guerra mondiale unicamente attraverso l’ esperienza dei legionari fiumani e poi con l’ amministrazione fascista, realtà queste quanto più distanti dal carattere e dai sentimenti della popolazione trentina. Esperienza dunque mai decollata appieno in Trentino ed ancor meno in Alto Adige, con l’ eccezione delle zone metropolitane di Bolzano e Merano,

Non vi è quindi da stupirsi che la proposta di Hofer apparisse loro come un vero e proprio ritorno ai tempi dell’Impero Austroungarico, pur sempre ben visto dalla popolazione ed avversato a suo tempo unicamente per motivi ideologici solo dalla minoranza progressista benestante delle città.

Con questa operazione politica le autorità germaniche riuscirono con astuzia a neutralizzare ogni ostilità concreta nella maggioranza della popolazione, che fino giugno 1944 rimase indifferente sia all’ occupazione, sia agli sparuti ed esigui gruppi partigiani, i quali sul piano militare ebbero effetti pressochè nulli ad onta del contributo di sangue profuso.

Per contro l’atteggiamento della popolazione durante l’occupazione tedesca e la limitata autonomia amminstrativa sopra accennata, con il passare del tempo e con l’ intensificarsi della pressione alleata con i bombardamenti a tappeto nei fondovalle, mutò da indifferenza ad insofferenza, non tanto, o solo di riflesso, verso l’ invasore tedesco, quanto contro gli effetti della guerra stessa.

La paura e la fame, ma anche la furbizia, diedero occasione a saccheggi di strutture e depositi lesionati dai bombardamenti e non più presidiati dai militari tedeschi, alimentando accaparramenti, fenomeni di borsa nera e traffico di armi e materiale esplodente da parte di molti profittatori, di cui è esistente tutt’ oggi ampia traccia e documentazione negli archivi dei Tribunali di Trento e Rovereto.

Le zone più interessate senz’ altro furono il basso Sarca, il roveretano e i fondovalle perginese e di Trento ed a poco servirono i presidi locali delle amministrazioni comunali e dei Carabinieri.

Man mano che divenne chiaro che la sorte del conflitto andava verso la direzione ben nota, si ebbero finalmente anche episodi insurrezionali di limitata consistenza in concomitanza con l’ arrivo delle truppe alleate, anche se vi furono in precedenza autentici episodi di valore partigiano quali quelli del battaglione “Gherlenda”in Valsugana tra cui spiccano le due donne medaglie d’oro Ancilla Marighetto “Ora” e Clorinda Menguzzato “Veglia”. E la Valsugana fu teatro non casuale, in quanto in diretto contatto con il Veneto rimasto fuori dalla costruzione politco-geografica dell’ Alpenvorland e soggetto all’ autorità di Salò

In questo quadro poco noto ed ancor meno raccontato è interessante invece osservare che la costruzione degasperiana dell’ autonomia trentina non sarebbe dunque una novità e trae elementi di continuità con quella imposta dall’ occupante tedesco, e prima ancora con quella concessa dall’ impero Austroungarico, e di ciò è doveroso fare ampia e meditata riflessione.

a cura di Stefano Sforzellini – Trento

(*) cfr atti della conferenza tenuta a Riva del Garda il 9 maggio 1994, sul tema: “La Resistenza in una provincia di confine”.
(**)  -Giuseppe Ferrandi, “Resistenza armata e resistenza civile, riflessioni sul caso trentino” in “Archivio Trentino di Storia Contemporanea” 1. – 1995

Per chi volesse approfondire:
– “La resistenza, la popolazione, la memoria ” in Questo Trentino, 13 ottobre 2001
-“Ribelli di confine – la Resistenza in Trentino” in Questo Trentino, 13 ottobre 2001

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Imminente invasione aliena? L’oscuro programma del Pentagono che indaga sugli UFO https://www.lavocedeltrentino.it/2024/08/22/imminente-invasione-aliena-loscuro-programma-del-pentagono-che-indaga-sugli-ufo/ Thu, 22 Aug 2024 13:42:36 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=475853 Imminente invasione aliena? L’oscuro programma del Pentagono che indaga sugli UFO

Da non perdere l'autobiografia “Imminent” dell'ex alto funzionario dell'Intelligence Luis Elizondo

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Imminente invasione aliena? L’oscuro programma del Pentagono che indaga sugli UFO

Un libro di memorie offre un’ inedita prospettiva dall’interno del Pentagono sulla caccia agli UFO (Oggetti volanti non identificati).

Nella sua autobiografia “Imminent” l’ex alto funzionario dell’Intelligence Luis Elizondo sostiene che da decenni un programma super-segreto starebbe recuperando tecnologia e resti biologici di origine non umana, e avverte che questi fenomeni potrebbero rappresentare una seria minaccia esistenziale per l’Umanità.

Se ci si fa caso è quasi quotidiana o la notizia od un ennesimo nuovo libro che rivela presenze di alieni, marziani, fantasmi, zombie, astronavi, geroglifici che raccontano di astronavi scese nell’antico Egitto o dai Maya, dando per vero e scontato tutto questo.

Chi scrive è spesso un cittadino qualsiasi appassionato di dietrologie e misteri e che ha bene in mente quanto sia redditizia la credulità popolare.

Ma questo caso è leggermente diverso.

Luis Elizondo, non è uno qulsiasi, è un ex-agente segreto del Controspionaggio Militare Statunitense, e del Sottosegretariato della Difesa per i Servizi Segreti, ed è stato anche ex-vicedirettore di un programma avanzato di identificazione per le minacce aerospaziali: il Program AATIP.

L’AATIP era un programma del Governo degli Stati Uniti non classificato né pubblicizzato destinato a studiare gli UFO e gli UAP (fenomeni aerei inspiegabili), ed è stato reso pubblico solo alla fine del 2017, dopo dieci anni dalla sua nascita.

Elizondo è balzato agli onori della cronaca nel 2017 quando si è dimesso da alto funzionario dell’Intelligence all’interno del misterioso programma del Pentagono che indagava su UFO e UAP.

Dopo le dimissioni Elizondo ha denunciato pubblicamente l’eccessiva segretezza del programma, la mancanza di risorse, nonché la presenza di un gruppo di opposizione che stava ostacolando la ricerca.

Le rivelazioni di Elizondo avevano suscitato grande interesse visto il ruolo rivestito dallo stesso in seno al Controspionaggio aerospaziale, ed erano state sostenute da inediti video con testimonianze di piloti della Marina che avevano raccontato di fenomeni aerei inspiegabili.

Tanto è stato il clamore da portare queste indagini al Congresso degli Stati Uniti, con tanto di udienza alla Camera tenutasi nel 2023.

L’ex funzionario dell’Intelligence statunitense ha rivelato sotto giuramento che il Governo Federale aveva recuperato oggetti schiantati di origine non umana.

Dopo la testimonianza Elizondo è andato oltre, scrivendo un libro di memorie “Imminent”.

Nel libro Elizondo racconta di un programma di recupero di incidenti occorsi agli UFO lungo vari decenni, e operato come un gruppo segretissimo composto da funzionari governativi che lavoravano assieme ad appaltatori della Bigelow Aerospace Advanced Space Studies (BAASS), azienda incaricata dalla Difesa Aerospaziale USA, di seguire il progetto di ricerca.

Nel corso degli anni, afferma Elizondo, da questi incidenti occorsi agli UFO sono stati recuperati sia tecnologia che resti biologici di origine non umana.

Il libro è stato autorizzato dal Pentagono, pur disapprovandone i contenuti e il New York Times ne ha ottenuto una copia anticipata.

Il NYT racconta che il programma del Pentagono sta attualmente lavorando per affrontare gli avvistamenti UFO e UAP, e prosegue nella revisione della documentazione storica in merito a tali fenomeni.

Nel suo libro “Imminent” Elizondo descrive la sua lotta all’interno del Programma per indagare sui fenomeni e il suo sforzo per spingere le istituzioni ad una maggiore trasparenza su ciò che è ufficialmente noto.

Ha anche scritto, per non farsi mancare nulla, di incontri personali con strane “sfere verdi” che avrebbero visitato la sua casa mentre lavorava per il Dipartimento della Difesa.

Tali sfere, dalle dimensioni di un pallone da basket, avrebbero invaso la sua casa dentro e fuori per oltre 7 anni. I misteriosi oggetti erano in grado di passare attraverso i muri e si comportavano come se fossero stati controllati da un’intelligenza superiore.

Sull’avvistamento delle “sfere verdi” ci sarebbero le testimonianze di sua moglie, delle due figlie e dei loro vicini di casa.

Scrive Elizondo che “i nostri amici provenienti da fuori città non sembrano essere benevoli, forse sono neutrali oppure potrebbero essere una minaccia per l’umanità. Non possiamo più infilare la testa sotto la sabbia, sappiamo di non essere soli”.

Sempre nel libro Elizondo ha espresso allarme e preoccupazione per il potenziale pericolo per l’umanità rappresentato dall’esistenza della tecnologia aliena che, secondo lui, supera di gran lunga quella degli Stati Uniti e di altri Paesi avanzati, e l’intelligence non umana che ci controlla presenta un serio problema per la sicurezza nazionale e, nel peggiore dei casi, la possibilità di una minaccia esistenziale per l’Umanità.

Nella prefazione del libro Christopher Mellon, un ex assistente segretario alla Difesa per l’Intelligence, ha scritto che senza Elizondo, il Governo degli Stati Uniti negherebbe ancora l’esistenza degli UAP e non avrebbe indagato su un fenomeno che potrebbe essere la più grande scoperta della storia dell’Umanità.

Da tenere presente che il programma super-segreto era stato voluto, finanziato e avviato dall’allora leader della maggioranza del Senato Harry Reid, il quale dirà, in riferimento al suo progetto: “E’ estremamente importante che vengano fuori le informazioni sulla scoperta di materiali fisici o delle imbarcazioni recuperate.”

Il senatore Reid è nativo del Nevada, dove si trova la misteriosa e leggendaria AREA 51, zona militare inaccessibile, dove si dice dai tempi della sua creazione essere il luogo dove si studiano astronavi e resti i alieni non umani.

Imminent può essere un libro indubbiamente curioso e interessante, se poi fosse stato scritto da Elizondo sotto dettatura delle Sfere Verdi, lo sarebbe ancor di più, ma non vogliamo suggerirgli nulla, venderà lo stesso.  

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Il clamoroso retroscena: Hamas si addestrava in Trentino per l’uso del parapendio? https://www.lavocedeltrentino.it/2024/08/18/il-clamoroso-retroscena-hamas-si-addestrava-in-trentino-per-luso-del-parapendio/ Sun, 18 Aug 2024 05:55:50 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=474970 Il clamoroso retroscena: Hamas si addestrava in Trentino per l’uso del parapendio?

Nel luglio dello scorso anno l’ambasciatore tedesco e UE in Palestina Sven Kuhn von Burgsdorff compiva un volo dimostrativo con un parapendio a Gaza. Intervistato, il giovane ambasciatore dichiarava che a Gaza si può volare, andare in Kayak, nuotare e fare surf. Il governo israeliano per via dell’intervista si infuriò, tacciando il volo del diplomatico […]

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Il clamoroso retroscena: Hamas si addestrava in Trentino per l’uso del parapendio?

Nel luglio dello scorso anno l’ambasciatore tedesco e UE in Palestina Sven Kuhn von Burgsdorff compiva un volo dimostrativo con un parapendio a Gaza.

Intervistato, il giovane ambasciatore dichiarava che a Gaza si può volare, andare in Kayak, nuotare e fare surf.

Il governo israeliano per via dell’intervista si infuriò, tacciando il volo del diplomatico come un atto provocatorio e di fare propaganda per le organizzazioni terroristiche. 

Tre mesi dopo Hamas attaccherà Israele anche con i parapendii. Ma dove avevano imparato a volare? Forse in Trentino, ma andiamo per gradi.

Nel luglio del 1990 il poliziotto siciliano Gianni Palagonia, un bravo investigatore e cacciatore di mafiosi, si trovava in Questura quando vennero a cercarlo due persone.

I due uomini erano agenti del SISMI, l’allora servizio segreto militare, e dissero a Palagonia che avevano bisogno del suo aiuto per individuare una località sconosciuta che si trovava probabilmente in Italia.

Gli agenti del SISMI diedero a Palagonia una fotografia – probabilmente avuta da qualche loro fonte informativa – che ritraeva tre uomini vicini ad un deltaplano.

Ai lati e sullo sfondo della fotografia c’era molto verde e si notavano alberi e piloni dall’alta tensione. Palagonia disse loro che non aveva mai visto questo luogo, che in tutta evidenza non era in Sicilia.

Gli agenti concordarono asserendo che di certo non era un luogo in Sicilia ma che poteva essere il Trentino o la Lombardia o il Piemonte.

I due proseguirono spiegando che lo avevano dedotto dagli alberi di Cirmolo, pianta che cresce nelle regioni alpine.

Ma i due agenti più che Palagonia volevano arrivare ad un suo grande amico: Angelo d’Arrigo.

Angelo (mai nome più azzeccato) d’Arrigo è stato uno dei più grandi protagonisti del volo libero di tutti i tempi, detentore di vari primati mondiali di volo sportivo.

Istruttore di deltaplano e parapendio, d’Arrigo divenne famoso in tutto il mondo per aver compiuto imprese estreme in volo libero, come la traversata della Siberia, del Sahara, del Mediterraneo, il sorvolo dell’Everest, della Cordigliera delle Ande e tante altre prima di schiantarsi da un’altezza di duecento metri a Comiso, nel 2006, mentre era a bordo di un piccolo aeroplano pilotato da un generale dell’aereonautica in pensione, morto anch’egli.

Gli agenti volevano arrivare a d’Arrigo perché all’epoca faceva a gare di volo libero in tutta Italia e a loro parere era forse l’unico che poteva riconoscere il luogo della fotografia.

Prima di esporre il suo amico a qualche rischio, Palagonia volle sapere di che cosa si trattasse, e concordando con la sua lealtà raccontarono che si trattava di terroristi palestinesi, pericolosi kamikaze che probabilmente stavano frequentando in Italia corsi per imparare il volo libero.

Aggiunsero che i Servizi Segreti erano a conoscenza che Hamas e i Jihadisti islamici avevano comperato grandi quantità di armi da Gheddafi, tra cui razzi leggeri che si potevano trasportare sui deltaplani o parapendii per via del peso ridotto, attorno ai 9 chili.

L’intenzione dei terroristi sarebbe stata quella di sorvolare la Striscia di Gaza per commettere attentati contro gli israeliani.

Ricordiamoci che si sta parlando del 1990.

Non parlarono solo di Israele, erano preoccupati anche per l’Europa che potevano colpire sorvolando il Mediterraneo partendo dalla Tunisia o dalla Libia per arrivare ad esempio in Sicilia, oppure attraversare lo stretto di Gibilterra partendo dal Marocco per arrivare in Spagna, il tutto con deltaplani a motore a marmitta silenziata.

Secondo gli agenti i terroristi si trovavano in Italia come studenti universitari, di più non sapevano ed era necessario scoprire dove.

La sera stessa Palagonia era a casa di Angelo d’Arrigo, che vide la foto, la osservò con attenzione, poi andò a prendere una serie di album fotografici che consultò attentamente.

Si fermò su una serie di foto e disse che il posto poteva essere quello. Si riferiva alla provincia di Trento.

Dopo aver individuato il posto Palagonia contattò gli agenti del SISMI e li incontrò assieme a d’Arrigo in un bar nei pressi di Catania.

Qui i due agenti chiesero a d’Arrigo se fosse disposto a partire con loro per un sopralluogo in Trentino, e ottennero immediatamente la sua disponibilità.

Stando a Palagonia fu il primo e ultimo intervento nella vicenda, e non chiese mai dettagli all’amico d’Angelo.

Se trovarono il posto non si sa, ma di sicuro i servizi segreti italiani avevano visto giusto, anche se l’intuizione ebbe conferma 23 anni dopo.

Gianni Palagonia è ora un Ispettore Superiore in pensione, e scrive libri attingendo alle sue memorie investigative, da dove è tratta la storia appena letta.

Realtà o fantasia? Realtà penso, spesso la vita di un poliziotto supera ogni fantasia, perché non ne ha bisogno.

Che in Trentino possano esserci cellule terroristiche è dimostrato anche dalla condanna  di Mines Hodza, il 22 enne di origini kosovare ma residente in Trentino, che è stato riconosciuto colpevole di terrorismo legato all’ISIS e di possesso di materiali esplosivi.

L’uomo è stato condannato a 3 anni e 8 mesi con rito abbreviato nel mese di marzo 2024. Sua moglie è stata invece assolta. Hodza era stato accusato di pianificare un attacco jihadista in Trentino dopo aver rubato dal laboratorio dove lavorava dei materiali per costruire una bomba.

A cura di Mario Garavellli

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“Dal passato al presente”, l’Europa ha ancora un’anima? Online il podcast https://www.lavocedeltrentino.it/2024/07/29/dal-passato-al-presente-leuropa-ha-ancora-unanima-online-il-podcast/ Mon, 29 Jul 2024 04:43:55 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=470973 “Dal passato al presente”, l’Europa ha ancora un’anima? Online il podcast

Dopo la prima puntata dedicata all’omicidio di Giacomo Matteotti, in particolare alle strumentalizzazioni politiche di questo fatto, e al rapporto (vero o falso?) tra il fascismo e il governo Meloni; dopo la seconda puntata dedicata ad un grande “rivano” dimenticato, il cancelliere austriaco Kurt Alois von Schuschnigg che Hitler fece rinchiudere a Dachau, Francesco Agnoli […]

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“Dal passato al presente”, l’Europa ha ancora un’anima? Online il podcast

Dopo la prima puntata dedicata all’omicidio di Giacomo Matteotti, in particolare alle strumentalizzazioni politiche di questo fatto, e al rapporto (vero o falso?) tra il fascismo e il governo Meloni; dopo la seconda puntata dedicata ad un grande “rivano” dimenticato, il cancelliere austriaco Kurt Alois von Schuschnigg che Hitler fece rinchiudere a Dachau, Francesco Agnoli e Giuseppina Coali riprendono il loro dialogo chiedendosi quali sono le radici dell’Europa: radici greche, romane e cristiane, che ci hanno consegnato una visione del mondo, delle donne, dei bambini, della libertà, dei malati ecc…

La puntata si chiede con una domanda rituale, “dal passato al presente”: l’Europa di oggi come “tratta” le sue radici?

Ha ancora un’anima? (clicca qui sentire la seconda puntata del podcast)

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Dal passato al presente: il rivano che sfidò Adolf Hitler. Online il podcast https://www.lavocedeltrentino.it/2024/07/16/dal-passato-al-presente-il-rivano-che-sfido-adolf-hitler-online-il-podcast/ Tue, 16 Jul 2024 06:40:17 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=469382 Dal passato al presente: il rivano che sfidò Adolf Hitler. Online il podcast

Lo storico Francesco Agnoli e la docente Giuseppina Coali continuano a raccontare il passato e il presente della storia trentina

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Dal passato al presente: il rivano che sfidò Adolf Hitler. Online il podcast

Kurt von Schuschnigg: sono pochi a ricordare questo nome, benché si tratti di un grande politico, che sfidò Hitler e pagò il suo coraggio con lunghi anni di lager.

Anche in Trentino è stato per lo più dimenticato: eppure nacque e crebbe per dieci anni a Riva del Garda, conservando sempre un profondo affetto per il Trentino e per l’Italia.

Nella seconda puntata di «dal Passato al presente» il podcast che va in onda su «pop up radio»Francesco Agnoli, intervistato da Giuseppina Coali, ne ricorda la figura, le relazioni con Mussolini ed Hitler, il suo profondo amore per la millenaria storia dell’Impero, la sua visione politica e religiosa. (Clicca qui per sentire il podcast)

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Dall’omicidio Matteotti al governo Meloni: arriva il podcast di Francesco Agnoli https://www.lavocedeltrentino.it/2024/07/09/dallomicidio-matteotti-al-governo-meloni-arriva-il-podcast-di-francesco-agnoli/ Tue, 09 Jul 2024 05:56:01 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=467948 Dall’omicidio Matteotti al governo Meloni: arriva il podcast di Francesco Agnoli

Di storia e di memoria viviamo costantemente, e spesso guardiamo al presente con gli occhi ancora segnati dalle immagini del passato, e dalla visione di quei fatti che ci proviene, spesso, più dai giornali e dai luoghi comuni, oppure dalla storiografia ideologica, che non dalla storia vera e propria. Proviamo allora ad affrontare, periodicamente, qualche […]

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Dall’omicidio Matteotti al governo Meloni: arriva il podcast di Francesco Agnoli

Di storia e di memoria viviamo costantemente, e spesso guardiamo al presente con gli occhi ancora segnati dalle immagini del passato, e dalla visione di quei fatti che ci proviene, spesso, più dai giornali e dai luoghi comuni, oppure dalla storiografia ideologica, che non dalla storia vera e propria.

Proviamo allora ad affrontare, periodicamente, qualche importante fatto del passato, con l’aiuto di uno storico come Francesco Agnoli, collaboratore di vari quotidiani italiani, ma soprattutto docente di storia e autore di svariati saggi, tra cui «La politica. Filosofie politiche, guerra, informazione e disinformazione» e «Alcide Degasperi. Vita e pensiero di un antifascista che sconfisse le sinistre».

Partiamo da un anniversario, di cui si è parlato molto spesso, proprio prima delle ultime consultazioni europee, quello dell’uccisione di Giacomo Matteotti.

Agnoli, cosa si può dire di nuovo?

«Di nuovo non c’è molto, ma dipende sempre da come si guardano le cose. In questi mesi Elly Schlein e tutto l’apparato del PD hanno battuto su questo illustre omicidio di cento anni orsono… per farlo sembrare attuale. Il messaggio era esplicito: oggi corriamo lo stesso rischio di cento anni fa, perché al governo non ci sono le sinistre, noi, ma gli altri. E’ la solita solfa del fascismo eterno che è sempre pronto a risorgere. Gli altri sono sempre eversivi e antidemocratici. Però si sta barando…»

In che senso?

«Il Pd nasce dagli ex comunisti e, in modo minoritario, dai democristiani di sinistra. Oggi non pochi esponenti del partito provengono ancora da una militanza giovanile proprio nel PCI (penso a Zingaretti o Bonacini per esempio). Ebbene, loro lo dovrebbero sapere: Matteotti, per i comunisti del suo tempo, era un nemico. Anche se era socialista. Alla sua morte Antonio Gramsci lo definì un “pellegrino del nulla”. Per i comunisti e per i socialisti massimalisti, eversivi e rivoluzionari, Matteotti era un avversario da abbattere, come don Sturzo e Mussolini, né più né meno! Per questo si è parlato, giustamente, della “solitudine” di Matteotti, che, in vita, aveva nemici a destra e a sinistra. Al comunista Angelo Tasca, Matteotti, da segretario del PSU, prima delle elezioni del 1924 ebbe a dire: “Lottare a fondo contro il fascismo? D’accordo. Ma in nome di che? Noi vogliamo lottare contro il fascismo in nome della libertà, voi della dittatura… Appunto perché vogliamo lottare contro il fascismo non possiamo confondere la nostra posizione con la vostra. La vostra fa il giuoco del fascismo” (Maurizio Breda, Stefano Carretti, “Il nemico di Mussolini”, Solferino, 2024, p. 130)».

Però poi Matteotti è diventato un eroe della sinistra tutta…

«Appunto che si bara. I comunisti, dopo la sua uccisione, ne hanno celebrato la figura, se ne sono impossessati. In questo la sinistra è sempre stata maestra. Demonizza e santifica a piacimento. Un tempo erano contro l’Europa, oggi ne sono i pasdaran. Erano contro la Nato, oggi hanno tutti l’elmetto Nato in testa. Il quotidiano L’Unità prima del 1924 attaccava Matteotti, lo stesso giornale, poi, lo ha celebrato ad ogni anniversario.

Matteotti – che denunciava la violenza fascista ma anche quella dei socialisti non gradualisti- era un nemico, traditore del socialismo, “socialtraditore”, “semifascista”, in vita; un martire del socialismo, dopo la morte. Sbattezzato e ribattezzato in un lampo.

Come Mussolini! Dove fece carriera il futuro duce, diventando un pezzo grosso del giornalismo e della politica italiana? Nel Partito socialista. Era un compagno, uno dei migliori, prima; poi è diventato un nemico, e si sono oscurate le origini socialiste non solo sue, ma di moltissimi dei primi dirigenti fascisti. La verità storica è che sia Mussolini che Matteotti crebbero entrambi a sinistra: facevano parte del PSI, ed entrambi furono poi espulsi da quella congrega di fanatici».

Fanatici?

«Vede, se in Italia non fossero esistiti i fanatici socialisti, che volevano creare il paradiso in terra togliendo a tutti libertà e proprietà, e i fanatici fascisti, non saremmo finiti nel ventennio nero e nella guerra. I fascisti alle elezioni del 1921, cioè poco prima di andare al potere, erano un partito con pochissimi voti. Perché Mussolini forzò la mano? Perché vide che lo Stato era debolissimo, e lo era anche perché i socialisti erano talmente impegnati nelle loro guerre civili (massimalisti/ riformisti/comunisti) e nella loro guerra ai popolari, che era impossibile dar vita ad una maggioranza antifascista che pure nei numeri era presente. Si sa che Matteotti dialogava con Sturzo a tal fine (socialisti moderati e popolari insieme avrebbero salvato l’Italia da Mussolini). Chi ha picconato lo Stato liberale italiano, pur pieno di difetti? I socialisti e i fascisti insieme hanno picconato lo Stato liberale; poi i fascisti sono stati più lesti. I comunisti pensavano di farcela loro, influenzati dal recente successo dei compagni bolscevichi, nel 1917 in Russia, sicuri della inevitabilità della “dittatura del proletariato”… ma Mussolini, cresciuto alla loro scuola, fu più astuto e veloce».

Come si arrivò alla morte di Matteotti?

«Qui non abbiamo sicurezze assolute. Lo storico Renzo De Felice, per esempio, sostiene che l’omicidio fu compiuto dai fascisti, ma senza che il duce ne fosse a conoscenza. Riccardo Nencini invece afferma la complicità esplicita di Mussolini. Per anni si è detto che Matteotti era stato ucciso per il suo discorso contro i brogli elettorali fascisti, ma è possibile che le cose non siano andate così. In fondo, un discorso del genere, non aveva allora grande effetto. I fascisti erano violenti? Certamente! Ma lo erano stati anche, e per primi, i “fratelli” socialisti, nel biennio rosso, con le loro guardie rosse. Probabilmente la causa vera sono le indagini di Matteotti, con il sostegno dei laburisti inglesi, sulla corruzione del duce e dei fascisti. Si ebbe paura dei discorsi che Matteotti voleva fare sui soldi della Sinclair oil finiti nelle tasche di Arnaldo Mussolini e di altri gerarchi, non di quello che aveva già fatto».

Tornando a Matteotti, la sua morte fu uno spartiacque…

«Certamente. Mussolini era arrivato al governo con molti azzardi, ma non voleva esagerare. Una volta raggiunto il potere, era pronto a scendere a patti con tutti quelli contro cui aveva sempre urlato: il re, Confindustria ecc. Ma l’omicidio Matteotti lo mise di fronte ad un dilemma: lascia o raddoppia. Era tentennante, poi decise di raddoppiare e optò per la dittatura. Messo all’angolo, perché anche molti di quelli che lo avevano votato si arrabbiarono per la morte di Matteotti, tirò fuori denti ed unghie… senza trovare nei Savoia il minimo argine. La morte di Matteotti, inoltre, chiuse anche le possibilità di un accordo con parte dei socialisti».

Vi era ancora un accordo con i socialisti nell’aria?

«La vulgata è che Matteotti rappresenti tutta la sinistra di allora, compattamente antifascista. Non è vero. I comunisti non si allarmarono neppure dopo la marcia su Roma, perché per loro era normale che i borghesi andassero al potere (“Un governo borghese vale l’altro”), secondo uno schema marxiano: dopo Mussolini, pensavano, tocca a noi, “tanto peggio, tanto meglio”! In secondo luogo, Mussolini non aveva mai chiuso i rapporti con una parte del socialismo e dopo le elezioni voleva riaprire con quelli che erano disponibili a collaborare con il vecchio compagno ed amico. Ricorda De Felice che il discorso del 30 maggio 1924 “fu di duplice opposizione, contro il governo fascista, contro il fascismo tout court, ma anche, e forse soprattutto, contro i collaborazionisti del proprio partito e della CGL”. C’erano collaborazionisti disponibili al fascismo a sinistra? Certo, erano i cosiddetti attendisti, o possibilisti, e stavano proprio nel PSU di Matteotti e non solo!»

Tornando all’attualità, oggi c’è un rischio fascismo?

«Per la sinistra era fascista anche Degasperi, perché non era comunista; era fascista Fanfani, che aprì al centro sinistra (ricordate il “fanfascismo”?); era fascista Berlusconi… tutti gli avversari per la sinistra sono ipso facto fascisti. E’ una forma mentis… fascista. Criticare gli avversari è un conto, demonizzarli e mostrificarli un altro. Ma a parte questo, Mussolini per andare al potere ebbe bisogno di allearsi con i Savoia, la Massoneria, Confindustria, il Corriere della Sera e di poter contare sul sostegno internazionale, ad esempio dell’Inghilterra. Non poteva fare altrimenti, anche perché non aveva i voti. Oggi al posto dei Savoia, diciamo così, c’è Mattarella, che è del Pd; il Corriere della Sera sta da tempo a sinistra; Inghilterra, Francia e Germania guardano con fastidio all’attuale governo… che però, a differenza di Mussolini, ha i voti e nessun bisogno di fare marce su Roma. Può piacere o meno, ma è la democrazia».

Intervista a cura della prof. Giuseppina Coali

Clicca qui per sentire il podcast della prima puntata di «Dal passato al presente»

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«Dal passato al presente»: online il nuovo podcast sugli eventi che hanno cambiato l’Italia https://www.lavocedeltrentino.it/2024/07/08/dal-passato-al-presente-online-il-nuovo-podcast-sugli-eventi-che-hanno-cambiato-litalia/ Mon, 08 Jul 2024 11:47:26 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=467883 «Dal passato al presente»: online il nuovo podcast sugli eventi che hanno cambiato l’Italia

Le grandi tappe storiche del passato spiegate in pochi minuti

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«Dal passato al presente»: online il nuovo podcast sugli eventi che hanno cambiato l’Italia

«Dal passato al presente»: così si intitola il nuovo podcast a cura di Francesco Agnoli, grande storico tentino e Giuseppina Coali, docente, in onda tutti i lunedì su Pop Up Radio. 

Una serie di dialoghi in cui si parte da grandi eventi del passato, come l’ omicidio Matteotti, la nascita della Nato, il sogno europeo ecc per arrivare al presente e al governo Meloni. 

Spazzando il campo da luoghi comuni senza fondamento, strumentalizzazioni politiche, manipolazioni storiche … Tanta storia, tanta attualità, spiegata in modo concreto e semplice. E in pochi minuti! Nella prima puntata si aprla del delitto Matteotti commesso il 10 giugno 1924 a Roma, con il rapimento e l’assassinio di Giacomo Matteotti, deputato del Regno d’Italia. (clicca qui per sentire il podcast)

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Quando Hannah Arendt previde la guerra in Isreaele https://www.lavocedeltrentino.it/2024/04/18/quando-hannah-arendt-previde-la-guerra-in-isreaele/ Thu, 18 Apr 2024 17:18:25 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=453439 Quando Hannah Arendt previde la guerra in Isreaele

Per capire cosa accade oggi in Israele può essere utile rileggere la lezione di Hannah Arendt, la filosofa ebrea tedesca che nel 1933, dopo una breve prigionia di 8 giorni, scappò in Francia, dove collaborò con un’organizzazione ebraica che aiutava i bambini ebrei ad emigrare in Palestina (dove si recherà di persona per accompagnarne alcuni). […]

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Quando Hannah Arendt previde la guerra in Isreaele

Per capire cosa accade oggi in Israele può essere utile rileggere la lezione di Hannah Arendt, la filosofa ebrea tedesca che nel 1933, dopo una breve prigionia di 8 giorni, scappò in Francia, dove collaborò con un’organizzazione ebraica che aiutava i bambini ebrei ad emigrare in Palestina (dove si recherà di persona per accompagnarne alcuni).

La Arendt collaborò con il movimento sionista, in particolare con la World Zionist organization. Nel 1941, dopo che i tedeschi avevano occupato la Francia venne internata per qualche tempo, e poi scappò in America, dove si guadagnò da vivere scrivendo e lavorando nell’editoria; nel 1943, dopo 10 anni, lasciò la World Zionist organization; nel 1951 ottenne la cittadinanza americana e nello stesso anno scrisse Le origini del totalitarismo. Nel 1961 seguì il processo ad Eichmann, da cui nascerà La banalità del male. Insegnò nelle università di Princeton, Chicago e New York, città in cui morì nel 1975.

Ebbene la Arendt affrontò per anni il tema dell’antisemitismo, ricordando le sue origini moderne e distinguendolo molto nettamente dall’antigiudaismo medievale. Soprattutto ebbe ad assistere alla nascita di Israele e capì subito che lo stato in cui aveva inizialmente creduto, nasceva con il piede sbagliato, almeno per due motivi.

Il primo, secondo la Arendt, era l’ideologia dei fondatori, che mescolava il socialismo di Golda Meir e Ben Gurion con il nazionalismo, ed ignorava invece del tutto la grande tradizione religiosa biblica (anche perché sia la Meir che Gurion erano atei).

Il secondo motivo era più politico: la Arendt criticava la volontà dei coloni ebrei di non collaborare economicamente e politicamente con gli arabi autoctoni, facendosi forti dell’appoggio europeo e americano.

Un appoggio ingannevole, perché in realtà isolava ulteriormente gli ebrei rispetto al “mare arabo” che li circondava.. Idith Zertal, nel suo Israele e la Shoah. La nazione e il culto della tragedia (Einaudi, Torino, 2000) ricorda come già nel 1948 la Arendt “previde un futuro funesto per lo Stato ebraico qualora non fosse riuscito a istituire relazioni collaborative e pacifiche con gli arabi residenti all’interno e all’esterno dei suoi confini” e contasse invece sulla sua forza e sull’ausilio di una potenza straniera, vista come colonialista: “se i sionisti – sono parole della Arendt -continueranno a ignorare i popoli del Mediterraneo e a guardare unicamente alle grandi potenze lontane finiranno coll’apparire strumenti o agenti di interessi estranei e ostili. Gli ebrei che conoscono la loro storia dovrebbero rendersi conto che una situazione del genere condurrebbe inevitabilmente a una nuova ondata di odio anti-ebraico, l’antisemitismo di domani”. Commenta la Zertal: “L’atteggiamento critico della Arendt nei confronti di certi aspetti del nuovo sionismo, della religione nazionale e della sostituzione del culto di Dio con quello dello Stato, non ne fa certo una ebrea che odia se stessa, né una antisionista, né una nemica dello Stato di Israele come pretesero i suoi critici”.

La studiosa Antonia Grunenberg aggiunge altre considerazioni: “Negli anni ’40 all’interno del movimento sionista s’impose gradualmente la posizione di due esponenti politici che all’epoca si trovavano già nel protettorato britannico della Palestina: Golda Meir e David Ben Gurion” i quali miravano ad uno “Stato israeliano senza la collaborazione degli Arabi, ovvero dei palestinesi che ci vivevano… Nel 1948 lo Stato di Israele fu fondato esattamente in quella configurazione che Magnes , la Arendt e i gruppi sionisti a loro vicini giudicavano fatale: uno Stato a maggioranza ebraica e con minoranza araba, circondato da Stati arabi ostili…”.

Secondo la Arendt Israele “avrebbe prodotto quel genere di conflitti nazionali che avevano provocato in Europa la duplice catastrofe di due guerre mondiali, essendo l’errore nel “costituire uno Stato su base etnica, con conseguente esclusione delle minoranze da uno status politico… la Arendt spiegò che il sionismo, in seguito alla scelta fatta -la creazione di uno Stato di Israele- si sarebbe trovato alle prese con le stesse conseguenze del nazionalismo: conflitti razziali e guerre.

L’alternativa era per lei una federazione ebraico-palestinese (Antonia Grunenberg, Hannah Arendt e Martin Heidegger, Longanesi, Milano).

Per approfondire il pensiero della Arendt: https://www.youtube.com/watch?v=LG-TPFSs4T4

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Riflessioni domenicali: un matematico ateo incontra Dio https://www.lavocedeltrentino.it/2023/10/22/riflessioni-domenicali-un-matematico-ateo-incontra-dio/ Sun, 22 Oct 2023 03:13:51 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=426701 Riflessioni domenicali: un matematico ateo incontra Dio

Il 13 novembre del 2014 moriva, in un piccolo villaggio dei Pirenei, dove si era ritirato a vita eremitica, Alexander Grothendieck, considerato da molti il più grande matematico del XX secolo, e uno dei più grandi di sempre. Il quotidiano Repubblica titolava così all’indomani della morte: L’enigma del più grande matematico del mondo. Il fascino […]

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Riflessioni domenicali: un matematico ateo incontra Dio

Il 13 novembre del 2014 moriva, in un piccolo villaggio dei Pirenei, dove si era ritirato a vita eremitica, Alexander Grothendieck, considerato da molti il più grande matematico del XX secolo, e uno dei più grandi di sempre. Il quotidiano Repubblica titolava così all’indomani della morte: L’enigma del più grande matematico del mondo.

Il fascino del personaggio risiede non solo nel notevole contributo da lui dato alla matematica, ma anche nella sua vita, quasi romanzesca. Molti dei suoi scritti sono ancora da analizzare e da comprendere, altri li ha bruciati lui stesso, dopo essersi ritirato a vita eremitica.

Grothendieck nasce il 28 marzo 1928 a Berlino, da Alexander Shapiro (1890-1942), detto Sascha, un ebreo russo-ucraino, anarchico-comunista che ha partecipato ai moti antizaristi del 1905, finendo per essere condannato a morte e per vedersi poi commutata la pena alla prigionia in Siberia, per dieci anni. In seguito, con la rivoluzione del 1917 Shapiro viene condannato a morte dai comunisti bolscevichi. Scampato con la fuga anche a questa condanna, dopo aver peregrinato di qua e di là, giunge in Germania, dove incontra Hanka Grothendieck, una donna tedesca, più o meno dedita anch’essa alla causa rivoluzionaria.

Shapiro è un vero anarchico dell’epoca: amore libero, il fuoco della politica nella mente e nel cuore, e niente figli. Un rivoluzionario a tempo pieno non ha spazio per la famiglia. Di più: la ritiene un’ istituzione opprimente, limitante, inutile.

Pur avendo già un figlio da un’altra compagna, dunque, Shapiro non ne vorrebbe altri. Ma Hanka, invece, desidera legare a sé il compagno inquieto e vagabondo: se non si riesce in altro modo, con lo stratagemma più antico, cioè con un bambino.

Nasce così nel 1928, a Berlino, il nostro Alexander (o Schurik). Così racconterà in Rècoltes et semailles i suoi primi giorni di vita: “All’epoca rifiutavo qualsiasi alimento, e arrivai a due dita dalla morte… Mi è sembrato che mia madre mi tenesse in grembo, nonostante un rifiuto profondo della maternità, per mettere alla prova il suo potere su mio padre (che non voleva bambini) e come un modo ulteriore per tenerlo legato a lei… Alla mia nascita scoprii una tale atmosfera di violenza che la voglia di vivere mi abbandonò immediatamente… All’ospedale pediatrico dove venni ricoverato come ultima spiaggia, ebbi la fortuna di incontrare delle infermiere affettuose, che mi ridettero il gusto della vita...”.

La calma dura poco: il padre, nel 1933, causa l’ascesa al potere di Hitler, lascia la Germania; presto anche Hanka, dopo aver affidato in fretta e furia il piccolo ad un pastore protestante, Wilhelm Heydorn, lascia il paese, raggiunge Shapiro a Parigi e si reca poi a combattere con lui in Spagna. Ma la guerra civile non va come sperato e i due compagni scelgono di riparare in Francia. Intanto, per 5 anni il piccolo riceve ogni tanto qualche lettera, scarna ed essenziale, della madre, ma “neanche una riga” dal padre. Nel 1939 il regime nazista aumenta la persecuzione, e la famiglia del pastore riesce a far partire il bimbo, ormai undicenne, verso la Francia, presso la madre.

Così il piccolo ebreo Alexander è momentaneamente salvo. Anzi no: pochi mesi dopo, la Francia viene conquistata dai tedeschi. Così Hanka ed il figlio vengono internati nel campo per donne e bambini di Rieucros, ma trovano l’aiuto di organizzazioni di carità e di persone di fede, guidate dal pastore Andrè Trocmè.

Costoro aiutano il ragazzo a frequentare un liceo cristiano a Le Chambon-sur-Lignon e a sopravvivere: i ragazzi ebrei, prima dei rastrellamenti della Gestapo, vengono spinti a nascondersi provvisoriamente nel bosco.

Divenuto adulto, Grothendieck meriterà il titolo di “Einstein della matematica”. Ma come era già successo al grande matematico e fisico Blaise Pascal, a Niccolò Stenone, divenuto sacerdote dopo aver fondato la geologia moderna, a Jan Swammerdam, considerato il padre dell’entomologia, a Gaetana Agnesi, che aveva lasciato la matematica e il successo le opere di carità…. così anche Grothendieck abbandona piano piano i suoi amati studi, perché sempre più attratto dalle domande spirituali.

Prima si avvicina anche al buddismo, che però trova insoddisfacente: più che la meditazione come liberazione dai pensieri, attingimento di una quiete “vuota”, Grothendieck desidera meditare per comprendere sé, il mondo e soprattutto Dio. Di Lui si è accorto a partire almeno dal 1944, ragionando sulla biologia, la cellula, l’evoluzione…, in questo modo: “Nell’apparizione della prima cellula vivente c’era una intelligenza… in tutta questa storia c’è una volontà, un disegno…”.

Negli anni Ottanta, e il suo riferimento diventa la cattolica francese Marthe Robin: una mistica segnata dalla sofferenza, che vive di Eucaristia. Anche Grothendieck vuole “incontrare” Cristo, lo spinge a rivelarsi a lui, con lunghi digiuni di 40 giorni.  La sua riflessione, dunque, porta Alexander, uomo dalla vita inquieta, tormentata, spesso dolorosa, a meditazioni su Dio come questa: “Solo il Direttore dell’orchestra sente il Concerto nella sua totalità, così come ciascuna delle voci e ogni modulazione e ogni battuta. Per poco che tendiamo l’orecchio, anche noi musicisti-cantori possiamo talvolta cogliere al volo dei frammenti sparsi di uno splendore che ci trascende, e al quale ciononostante, misteriosamente, partecipiamo anche noi”.

O questa:L’uomo ha facoltà che lo rendono capace di conoscere l’esistenza di un Dio personale … le “prove” dell’esistenza di Dio possono disporre alla fede ed aiutare a constatare che questa non si oppone alla ragione umana… dopo qualche mese all’ascolto della voce di Dio, la mia visione del mondo si è trasformata profondamente, e così quella di me stesso e del mio posto e del mio ruolo nel mondo. La trasformazione principale, quella da cui partono tutte le altre, è che ormai il cosmo, il mondo degli uomini, la mia vita e la mia personale avventura, hanno finalmente acquisito un centro, che era mancato fino ad ora (in certi momenti crudelmente), e un senso che avevo presentito solo in modo oscuro”.

O, infine, questa:se Lui parla anche a te….non parla della pioggia o del bel tempo o dei destini del mondo, ma è di te che Lui parla- di quello che è più segreto, più nascosto in te. E tu sei libero di ascoltare, se vuoi (e di sicuro, se ascolti con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, non sarà tempo sprecato…). Non è una cosa folle? Questo interesse intenso e delicato e (lo so così bene!) amorevole….non conferisce da solo all’essere umano, a te come a me come all’ultimo uomo, una dignità, una nobiltà che confonde l’immaginazione?”.

Per approfondire il rapporto tra scienza e fede: https://www.youtube.com/channel/UC4keWMPfcFgyMAe3ke72HOw

 

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Riflessioni domenicali: la Risurrezione dei morti e l’uso di seppellire i defunti https://www.lavocedeltrentino.it/2023/10/15/riflessioni-domenicali-la-risurrezione-dei-morti-e-luso-di-seppellire-i-defunti/ Sun, 15 Oct 2023 04:44:49 +0000 https://www.lavocedeltrentino.it/?p=425187 Riflessioni domenicali: la Risurrezione dei morti e l’uso di seppellire i defunti

Ogni domenica i cattolici ricordano la Pasqua, cioè il giorno della Risurrezione. Approfittiamone per ragionare sulla morte. Ogni civiltà umana conosciuta ha concepito, sebbene in modi diversi, un aldilà, e un giudizio sull’anima del defunto. Ogni civiltà umana ha seppellito i suoi defunti. Le necropoli e le tombe appartengono dunque alla natura e alla storia […]

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Riflessioni domenicali: la Risurrezione dei morti e l’uso di seppellire i defunti

Ogni domenica i cattolici ricordano la Pasqua, cioè il giorno della Risurrezione. Approfittiamone per ragionare sulla morte.

Ogni civiltà umana conosciuta ha concepito, sebbene in modi diversi, un aldilà, e un giudizio sull’anima del defunto. Ogni civiltà umana ha seppellito i suoi defunti.

Le necropoli e le tombe appartengono dunque alla natura e alla storia dell’uomo, e indicano la sua primordiale ed intuitiva credenza nell’anima, la sua consapevolezza del proprio limite (evidente in particolar modo nella mortalità), ma anche della propria grandezza e singolarità (ogni tomba appartiene ad un individuo che è ritenuto in qualche modo unico).

E gli animali? Non hanno riti funebri, né tombe né necropoli per i loro defunti.

Scrive il neuroscienziato Michael Gazzaniga: “Dunque gli altri animali dimostrano una risposta elaborata di fronte ai loro parenti o compagni morti? La maggior parte degli animali no. I leoni sembrano essere molto pratici. Possono annusare o leccare brevemente il corpo di un compagno morto di recente, e poi gettarvisi sopra per un breve spuntino. Gli scimpanzé possono avere interazioni più prolungate con un partner sociale defunto, ma abbandonano il corpo una volta cominci a diventare maleodorante…”.

Sebbene anche gli animali abbiano probabilmente una qualche forma di “consapevolezza”, variabile da specie a specie e del tutto differente da quella umana, ad essi manca la coscienza razionale della propria morte: “sembra assodato che neppure gli scimpanzè, che pure dimostrano stupore e forti sensazioni di fronte alla morte di un ‘congiunto’, siano in grado di estrapolare da questo il proprio destino individuale” (Giancarlo Genta, Franca Genta Bonelli, Il silenzio dell’universo, Lindau, Torino, 2016, p. 124).

Così il famoso etologo Danilo Mainardi (1933-2017): “Una cosa certa, anche se ovvia, è che i cani amano intensamente i loro padroni e, inoltre, che il loro attaccamento è per la vita. Da qui discende la loro meritata fama di fedeltà. Ciò che è invece difficile da comprendere e da descrivere è la qualità del loro amore che, seppure in qualche modo analogo a quello umano, non può certo essere la stessa cosa, lo stesso sentimento. È evidente, a ogni modo, che un cane è felice solo quando è col padrone e che, in caso contrario, ne sente fortemente la mancanza. Il cane d’altronde deriva dal lupo e pertanto l’attaccamento con gli altri membri della muta è essenziale per la sopravvivenza. È invece frutto d’una tendenza antropomorfizzante l’attribuire al cane un qualche senso, o speranza, di una vita oltre la morte. I cani hanno solo una conoscenza vaga e confusa di cosa sia la morte e, comunque, solo della morte altrui. Non sanno produrre quel sillogismo, così umano e conturbante: «Se tutti muoiono anch’io dovrò morire». È un’ignoranza beata, comunque, che preclude alle loro menti semplici speranze e proiezioni su un ipotetico al di là. Sono convinto che quei cani che attendono sulla tomba del padrone sperino che, prima o poi, si rifaccia vivo. Vivo sul serio, cioè nell’al di qua”.

Oltre alle tombe e alle necropoli, gli archeologi si imbattono, per ogni civiltà, in spazi sacri e templi dedicati alla divinità. E’ più facile trovare una città senza mura, sosteneva Plutarco, che una città senza templi e senza dei.

Secondo lo storico delle religioni Julien Ries (1920-2013), “l’uomo arcaico, in piedi” contempla la volta celeste: “Ne ha ammirato l’altezza, il colore, la profondità, l’immensità. Si è sentito in presenza dell’Infinito. Nel vero senso della parola, egli è un animale, in piedi, consapevole della propria esistenza, cosciente di occupare un posto specifico nel cosmo. Lo sguardo diretto alla volta celeste di giorno e di notte costituisce per lui un’esperienza più importante, più misteriosa, della caccia agli animali. Interrogandosi sul corso del sole, sulla crescita e la decrescita della luna, sul luccichio delle stelle, sul corso delle stelle cadenti, l’uomo arcaico diviene un cercatore di infinito e prende coscienza di un Infinito misterioso. A quest’uomo… il Cielo rivela, secondo l’espressione di Eliade, ‘la sua trascendenza, la sua forza e la sua sacralità’ ”.

Necropoli e tombe, templi e osservatori astronomici rimandano dunque alla particolare visione che l’uomo ha da sempre riguardo al suo posto nel mondo: le idee di un Cielo divino e dell’aldilà, impossibili o quantomeno assurde e ingiustificabili in un orizzonte puramente materiale, esprimono il suo sentirsi responsabile verso Qualcuno che lo trascende , e il suo non sentirsi completo, realizzato, “nato del tutto”, nella dimensione del finito.

In altre parole palesano il bisogno umano di una realizzazione piena, totale, che non può essere solamente terrestre e materiale.

 

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