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Riflessioni fra Cronaca e Storia

Dall’omicidio Matteotti al governo Meloni: arriva il podcast di Francesco Agnoli

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Di storia e di memoria viviamo costantemente, e spesso guardiamo al presente con gli occhi ancora segnati dalle immagini del passato, e dalla visione di quei fatti che ci proviene, spesso, più dai giornali e dai luoghi comuni, oppure dalla storiografia ideologica, che non dalla storia vera e propria.

Proviamo allora ad affrontare, periodicamente, qualche importante fatto del passato, con l’aiuto di uno storico come Francesco Agnoli, collaboratore di vari quotidiani italiani, ma soprattutto docente di storia e autore di svariati saggi, tra cui «La politica. Filosofie politiche, guerra, informazione e disinformazione» e «Alcide Degasperi. Vita e pensiero di un antifascista che sconfisse le sinistre».

Partiamo da un anniversario, di cui si è parlato molto spesso, proprio prima delle ultime consultazioni europee, quello dell’uccisione di Giacomo Matteotti.

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Agnoli, cosa si può dire di nuovo?

«Di nuovo non c’è molto, ma dipende sempre da come si guardano le cose. In questi mesi Elly Schlein e tutto l’apparato del PD hanno battuto su questo illustre omicidio di cento anni orsono… per farlo sembrare attuale. Il messaggio era esplicito: oggi corriamo lo stesso rischio di cento anni fa, perché al governo non ci sono le sinistre, noi, ma gli altri. E’ la solita solfa del fascismo eterno che è sempre pronto a risorgere. Gli altri sono sempre eversivi e antidemocratici. Però si sta barando…»

In che senso?

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«Il Pd nasce dagli ex comunisti e, in modo minoritario, dai democristiani di sinistra. Oggi non pochi esponenti del partito provengono ancora da una militanza giovanile proprio nel PCI (penso a Zingaretti o Bonacini per esempio). Ebbene, loro lo dovrebbero sapere: Matteotti, per i comunisti del suo tempo, era un nemico. Anche se era socialista. Alla sua morte Antonio Gramsci lo definì un “pellegrino del nulla”. Per i comunisti e per i socialisti massimalisti, eversivi e rivoluzionari, Matteotti era un avversario da abbattere, come don Sturzo e Mussolini, né più né meno! Per questo si è parlato, giustamente, della “solitudine” di Matteotti, che, in vita, aveva nemici a destra e a sinistra. Al comunista Angelo Tasca, Matteotti, da segretario del PSU, prima delle elezioni del 1924 ebbe a dire: “Lottare a fondo contro il fascismo? D’accordo. Ma in nome di che? Noi vogliamo lottare contro il fascismo in nome della libertà, voi della dittatura… Appunto perché vogliamo lottare contro il fascismo non possiamo confondere la nostra posizione con la vostra. La vostra fa il giuoco del fascismo” (Maurizio Breda, Stefano Carretti, “Il nemico di Mussolini”, Solferino, 2024, p. 130)».

Però poi Matteotti è diventato un eroe della sinistra tutta…

«Appunto che si bara. I comunisti, dopo la sua uccisione, ne hanno celebrato la figura, se ne sono impossessati. In questo la sinistra è sempre stata maestra. Demonizza e santifica a piacimento. Un tempo erano contro l’Europa, oggi ne sono i pasdaran. Erano contro la Nato, oggi hanno tutti l’elmetto Nato in testa. Il quotidiano L’Unità prima del 1924 attaccava Matteotti, lo stesso giornale, poi, lo ha celebrato ad ogni anniversario.

Matteotti – che denunciava la violenza fascista ma anche quella dei socialisti non gradualisti- era un nemico, traditore del socialismo, “socialtraditore”, “semifascista”, in vita; un martire del socialismo, dopo la morte. Sbattezzato e ribattezzato in un lampo.

Come Mussolini! Dove fece carriera il futuro duce, diventando un pezzo grosso del giornalismo e della politica italiana? Nel Partito socialista. Era un compagno, uno dei migliori, prima; poi è diventato un nemico, e si sono oscurate le origini socialiste non solo sue, ma di moltissimi dei primi dirigenti fascisti. La verità storica è che sia Mussolini che Matteotti crebbero entrambi a sinistra: facevano parte del PSI, ed entrambi furono poi espulsi da quella congrega di fanatici».

Fanatici?

«Vede, se in Italia non fossero esistiti i fanatici socialisti, che volevano creare il paradiso in terra togliendo a tutti libertà e proprietà, e i fanatici fascisti, non saremmo finiti nel ventennio nero e nella guerra. I fascisti alle elezioni del 1921, cioè poco prima di andare al potere, erano un partito con pochissimi voti. Perché Mussolini forzò la mano? Perché vide che lo Stato era debolissimo, e lo era anche perché i socialisti erano talmente impegnati nelle loro guerre civili (massimalisti/ riformisti/comunisti) e nella loro guerra ai popolari, che era impossibile dar vita ad una maggioranza antifascista che pure nei numeri era presente. Si sa che Matteotti dialogava con Sturzo a tal fine (socialisti moderati e popolari insieme avrebbero salvato l’Italia da Mussolini). Chi ha picconato lo Stato liberale italiano, pur pieno di difetti? I socialisti e i fascisti insieme hanno picconato lo Stato liberale; poi i fascisti sono stati più lesti. I comunisti pensavano di farcela loro, influenzati dal recente successo dei compagni bolscevichi, nel 1917 in Russia, sicuri della inevitabilità della “dittatura del proletariato”… ma Mussolini, cresciuto alla loro scuola, fu più astuto e veloce».

Come si arrivò alla morte di Matteotti?

«Qui non abbiamo sicurezze assolute. Lo storico Renzo De Felice, per esempio, sostiene che l’omicidio fu compiuto dai fascisti, ma senza che il duce ne fosse a conoscenza. Riccardo Nencini invece afferma la complicità esplicita di Mussolini. Per anni si è detto che Matteotti era stato ucciso per il suo discorso contro i brogli elettorali fascisti, ma è possibile che le cose non siano andate così. In fondo, un discorso del genere, non aveva allora grande effetto. I fascisti erano violenti? Certamente! Ma lo erano stati anche, e per primi, i “fratelli” socialisti, nel biennio rosso, con le loro guardie rosse. Probabilmente la causa vera sono le indagini di Matteotti, con il sostegno dei laburisti inglesi, sulla corruzione del duce e dei fascisti. Si ebbe paura dei discorsi che Matteotti voleva fare sui soldi della Sinclair oil finiti nelle tasche di Arnaldo Mussolini e di altri gerarchi, non di quello che aveva già fatto».

Tornando a Matteotti, la sua morte fu uno spartiacque…

«Certamente. Mussolini era arrivato al governo con molti azzardi, ma non voleva esagerare. Una volta raggiunto il potere, era pronto a scendere a patti con tutti quelli contro cui aveva sempre urlato: il re, Confindustria ecc. Ma l’omicidio Matteotti lo mise di fronte ad un dilemma: lascia o raddoppia. Era tentennante, poi decise di raddoppiare e optò per la dittatura. Messo all’angolo, perché anche molti di quelli che lo avevano votato si arrabbiarono per la morte di Matteotti, tirò fuori denti ed unghie… senza trovare nei Savoia il minimo argine. La morte di Matteotti, inoltre, chiuse anche le possibilità di un accordo con parte dei socialisti».

Vi era ancora un accordo con i socialisti nell’aria?

«La vulgata è che Matteotti rappresenti tutta la sinistra di allora, compattamente antifascista. Non è vero. I comunisti non si allarmarono neppure dopo la marcia su Roma, perché per loro era normale che i borghesi andassero al potere (“Un governo borghese vale l’altro”), secondo uno schema marxiano: dopo Mussolini, pensavano, tocca a noi, “tanto peggio, tanto meglio”! In secondo luogo, Mussolini non aveva mai chiuso i rapporti con una parte del socialismo e dopo le elezioni voleva riaprire con quelli che erano disponibili a collaborare con il vecchio compagno ed amico. Ricorda De Felice che il discorso del 30 maggio 1924 “fu di duplice opposizione, contro il governo fascista, contro il fascismo tout court, ma anche, e forse soprattutto, contro i collaborazionisti del proprio partito e della CGL”. C’erano collaborazionisti disponibili al fascismo a sinistra? Certo, erano i cosiddetti attendisti, o possibilisti, e stavano proprio nel PSU di Matteotti e non solo!»

Tornando all’attualità, oggi c’è un rischio fascismo?

«Per la sinistra era fascista anche Degasperi, perché non era comunista; era fascista Fanfani, che aprì al centro sinistra (ricordate il “fanfascismo”?); era fascista Berlusconi… tutti gli avversari per la sinistra sono ipso facto fascisti. E’ una forma mentis… fascista. Criticare gli avversari è un conto, demonizzarli e mostrificarli un altro. Ma a parte questo, Mussolini per andare al potere ebbe bisogno di allearsi con i Savoia, la Massoneria, Confindustria, il Corriere della Sera e di poter contare sul sostegno internazionale, ad esempio dell’Inghilterra. Non poteva fare altrimenti, anche perché non aveva i voti. Oggi al posto dei Savoia, diciamo così, c’è Mattarella, che è del Pd; il Corriere della Sera sta da tempo a sinistra; Inghilterra, Francia e Germania guardano con fastidio all’attuale governo… che però, a differenza di Mussolini, ha i voti e nessun bisogno di fare marce su Roma. Può piacere o meno, ma è la democrazia».

Intervista a cura della prof. Giuseppina Coali

Clicca qui per sentire il podcast della prima puntata di «Dal passato al presente»

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