Riflessioni fra Cronaca e Storia
Riflessioni domenicali: un matematico ateo incontra Dio

Il 13 novembre del 2014 moriva, in un piccolo villaggio dei Pirenei, dove si era ritirato a vita eremitica, Alexander Grothendieck, considerato da molti il più grande matematico del XX secolo, e uno dei più grandi di sempre. Il quotidiano Repubblica titolava così all’indomani della morte: L’enigma del più grande matematico del mondo.
Il fascino del personaggio risiede non solo nel notevole contributo da lui dato alla matematica, ma anche nella sua vita, quasi romanzesca. Molti dei suoi scritti sono ancora da analizzare e da comprendere, altri li ha bruciati lui stesso, dopo essersi ritirato a vita eremitica.
Grothendieck nasce il 28 marzo 1928 a Berlino, da Alexander Shapiro (1890-1942), detto Sascha, un ebreo russo-ucraino, anarchico-comunista che ha partecipato ai moti antizaristi del 1905, finendo per essere condannato a morte e per vedersi poi commutata la pena alla prigionia in Siberia, per dieci anni. In seguito, con la rivoluzione del 1917 Shapiro viene condannato a morte dai comunisti bolscevichi. Scampato con la fuga anche a questa condanna, dopo aver peregrinato di qua e di là, giunge in Germania, dove incontra Hanka Grothendieck, una donna tedesca, più o meno dedita anch’essa alla causa rivoluzionaria.
Shapiro è un vero anarchico dell’epoca: amore libero, il fuoco della politica nella mente e nel cuore, e niente figli. Un rivoluzionario a tempo pieno non ha spazio per la famiglia. Di più: la ritiene un’ istituzione opprimente, limitante, inutile.
Pur avendo già un figlio da un’altra compagna, dunque, Shapiro non ne vorrebbe altri. Ma Hanka, invece, desidera legare a sé il compagno inquieto e vagabondo: se non si riesce in altro modo, con lo stratagemma più antico, cioè con un bambino.
Nasce così nel 1928, a Berlino, il nostro Alexander (o Schurik). Così racconterà in Rècoltes et semailles i suoi primi giorni di vita: “All’epoca rifiutavo qualsiasi alimento, e arrivai a due dita dalla morte… Mi è sembrato che mia madre mi tenesse in grembo, nonostante un rifiuto profondo della maternità, per mettere alla prova il suo potere su mio padre (che non voleva bambini) e come un modo ulteriore per tenerlo legato a lei… Alla mia nascita scoprii una tale atmosfera di violenza che la voglia di vivere mi abbandonò immediatamente… All’ospedale pediatrico dove venni ricoverato come ultima spiaggia, ebbi la fortuna di incontrare delle infermiere affettuose, che mi ridettero il gusto della vita...”.
La calma dura poco: il padre, nel 1933, causa l’ascesa al potere di Hitler, lascia la Germania; presto anche Hanka, dopo aver affidato in fretta e furia il piccolo ad un pastore protestante, Wilhelm Heydorn, lascia il paese, raggiunge Shapiro a Parigi e si reca poi a combattere con lui in Spagna. Ma la guerra civile non va come sperato e i due compagni scelgono di riparare in Francia. Intanto, per 5 anni il piccolo riceve ogni tanto qualche lettera, scarna ed essenziale, della madre, ma “neanche una riga” dal padre. Nel 1939 il regime nazista aumenta la persecuzione, e la famiglia del pastore riesce a far partire il bimbo, ormai undicenne, verso la Francia, presso la madre.
Così il piccolo ebreo Alexander è momentaneamente salvo. Anzi no: pochi mesi dopo, la Francia viene conquistata dai tedeschi. Così Hanka ed il figlio vengono internati nel campo per donne e bambini di Rieucros, ma trovano l’aiuto di organizzazioni di carità e di persone di fede, guidate dal pastore Andrè Trocmè.
Costoro aiutano il ragazzo a frequentare un liceo cristiano a Le Chambon-sur-Lignon e a sopravvivere: i ragazzi ebrei, prima dei rastrellamenti della Gestapo, vengono spinti a nascondersi provvisoriamente nel bosco.
Divenuto adulto, Grothendieck meriterà il titolo di “Einstein della matematica”. Ma come era già successo al grande matematico e fisico Blaise Pascal, a Niccolò Stenone, divenuto sacerdote dopo aver fondato la geologia moderna, a Jan Swammerdam, considerato il padre dell’entomologia, a Gaetana Agnesi, che aveva lasciato la matematica e il successo le opere di carità…. così anche Grothendieck abbandona piano piano i suoi amati studi, perché sempre più attratto dalle domande spirituali.
Prima si avvicina anche al buddismo, che però trova insoddisfacente: più che la meditazione come liberazione dai pensieri, attingimento di una quiete “vuota”, Grothendieck desidera meditare per comprendere sé, il mondo e soprattutto Dio. Di Lui si è accorto a partire almeno dal 1944, ragionando sulla biologia, la cellula, l’evoluzione…, in questo modo: “Nell’apparizione della prima cellula vivente c’era una intelligenza… in tutta questa storia c’è una volontà, un disegno…”.
Negli anni Ottanta, e il suo riferimento diventa la cattolica francese Marthe Robin: una mistica segnata dalla sofferenza, che vive di Eucaristia. Anche Grothendieck vuole “incontrare” Cristo, lo spinge a rivelarsi a lui, con lunghi digiuni di 40 giorni. La sua riflessione, dunque, porta Alexander, uomo dalla vita inquieta, tormentata, spesso dolorosa, a meditazioni su Dio come questa: “Solo il Direttore dell’orchestra sente il Concerto nella sua totalità, così come ciascuna delle voci e ogni modulazione e ogni battuta. Per poco che tendiamo l’orecchio, anche noi musicisti-cantori possiamo talvolta cogliere al volo dei frammenti sparsi di uno splendore che ci trascende, e al quale ciononostante, misteriosamente, partecipiamo anche noi”.
O questa: “L’uomo ha facoltà che lo rendono capace di conoscere l’esistenza di un Dio personale … le “prove” dell’esistenza di Dio possono disporre alla fede ed aiutare a constatare che questa non si oppone alla ragione umana… dopo qualche mese all’ascolto della voce di Dio, la mia visione del mondo si è trasformata profondamente, e così quella di me stesso e del mio posto e del mio ruolo nel mondo. La trasformazione principale, quella da cui partono tutte le altre, è che ormai il cosmo, il mondo degli uomini, la mia vita e la mia personale avventura, hanno finalmente acquisito un centro, che era mancato fino ad ora (in certi momenti crudelmente), e un senso che avevo presentito solo in modo oscuro”.
O, infine, questa: “se Lui parla anche a te….non parla della pioggia o del bel tempo o dei destini del mondo, ma è di te che Lui parla- di quello che è più segreto, più nascosto in te. E tu sei libero di ascoltare, se vuoi (e di sicuro, se ascolti con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, non sarà tempo sprecato…). Non è una cosa folle? Questo interesse intenso e delicato e (lo so così bene!) amorevole….non conferisce da solo all’essere umano, a te come a me come all’ultimo uomo, una dignità, una nobiltà che confonde l’immaginazione?”.
Per approfondire il rapporto tra scienza e fede: https://www.youtube.com/channel/UC4keWMPfcFgyMAe3ke72HOw
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