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Trento

Il 19 agosto il 70° anniversario della morte di Alcide De Gasperi

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Sono trascorsi settant’anni dal 19 agosto 1954, giorno della morte a Borgo Valsugana (Trento) di Alcide De Gasperi.

Nato a Pieve Tesino il 3 aprile 1881, figlio primogenito di Amedeo, maresciallo maggiore della gendarmeria locale tirolese, e di Maria Morandini, dopo la maturità classica al liceo «Giovanni Prati» di Trento, si laureò nel 1905 alla Facoltà di Lettere dell’Università di Vienna, ammesso con un «Attestato di Povertà» conservato nella casa natale dove risiedeva come suddito di lingua italiana dell’Impero austro-ungarico fino all’ottobre 1920, data di annessione all’Italia del Tirolo del Sud.

Nell’ottobre del 2021 è uscito, per Cantagalli, il nuovo libro di Francesco Agnoli, Alcide Degasperi. Vita e pensiero di un antifascista che sconfisse le sinistre (clicca qui per l’acquisto), il lavoro ricostruisce in maniera molto fedele la carriera politica di Degasperi con alcuni aneddoti esclusivi.

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Francesco Agnoli residente a Trento è laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria presso la Trentino Art Academy e collabora con l’UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza.

Collabora con i quotidiani Avvenire, Il Foglio, La Verità (nato il 20 settembre 2016) La Voce del Trentino, Voce24news e con il mensile Il Timone.

Autore di numerosi saggi, ha ricevuto nel 2013 il premio “Una penna per la vita“, promosso dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana).

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Si dedica in particolare alla storia e alla filosofia della scienza, ed ha al suo attivo numerose interviste con scienziati di fama mondiale come Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti, segretario generale dell’Unione Astronomica mondiale, e molti altri.

Nella sua carriera di scrittore ha scritto quasi 40 opere. Siamo andati a sentire le sue considerazioni sull’ultimo suo libro dove approfondisce degli argomenti inediti sulla vita di Alcide De Gssperi. 

Perché un altro libro su De Gasperi?

«Per tanti motivi. Anzitutto perché, come ha scritto lo storico Pietro Scoppola, l’età di Degasperi è una delle poche che è stata raccontata più dai vinti che dai vincitori. Come sappiamo le sinistre persero le elezioni del 18 aprile 1948, ma si affrettarono dal primo giorno a parlare di brogli e di violazioni da parte della DC e del Vaticano, per dedicarsi, subito dopo, ad occupare la memoria, impadronendosi della narrazione, sui giornali, nei libri di scuola… Il PCI ha esercitato un vero e proprio dominio culturale su questo paese, e le sinistre, del resto, continuano a farlo.

Il PCI, a tal fine, non ha esitato a pagare amici-storici, per dare una propria versione dei fatti, per raccontare una storia della DC di Degasperi e una storia propria funzionali all’ ideologia comunista. Conosciamo dunque spesso una storia falsa, denigratoria, di Degasperi e una storia falsa, depurata, di Togliatti. Inoltre Degasperi ha dovuto scontare anche le falsificazioni dei neofascisti, che non gli hanno perdonato di essere stato un vero patriota (al contrario di Mussolini) e si sono spesso alleati con le sinistre contro di lui: non solo nel farlo cadere, nel 1953, ma anche nel calunniarlo, per esempio riguardo alla sua gestione della politica estera (il che è grottesco, se si pensa a quanto era stata improvvida la politica estera di Mussolini, che alleandosi con la Germania aveva portato non solo alla distruzione del nostro paese, ma persino al rischio di perdere Trento e Trieste, ottenute con la I guerra mondiale)».

Tanti nemici, insomma…

«Sì. Molti anche travestiti da amici. Nel libro racconto la parte più dolorosa, e forse ancora più misconosciuta: la lotta contro Degasperi da parte della sinistra interna del partito, cioè dell’ala di Dossetti, Fanfani, Lazzati, Moro, Gronchi… Dopo la morte di Degasperi la sinistra Dc si impadronì della sua memoria, perché Degasperi era stato indiscutibilmente un gigante; ma gli avevano sempre fatto la guerra, quando era in vita, e distrussero tutta la sua eredità, una volta preso il controllo del partito. Tra la Dc di Degasperi (1945 -1954) e la Dc post Degasperi c’è fortissima discontinuità. Pietro Craveri parla giustamente di “irresistibile metamorfosi sociologica e politica della democrazia Cristiana” post Degasperi. Qualcuno ha parlato addirittura della Dc di Degasperi come della “DC prima dei democristiani”».

Quali i motivi del contendere tra Degasperi e la sinistra DC?

«La giovane generazione, quella appunto dei Dossetti, Fanfani e Moro, non aveva nulla in comune né con Sturzo, che li criticò sempre, sino alla morte, né con Degasperi. C’era una differenza enorme nella visione del partito, del rapporto con la Chiesa, del rapporto con la società, dell’economia, della politica estera…

Fanfani, Dossetti (padrino politico di Romano Prodi), e Moro, soprannominati i “professorini”, come noto aprirono a sinistra, all’alleanza con il PSI di Pietro Nenni con cui Degasperi mantenne sempre un rapporto umano amichevole, ma una contrapposizione politica totale e radicale. Se Degasperi sconfisse Pci e Psi e li mantenne per anni fuori dai governi, riscostruendo così il paese, costoro al contrario fecero l’impossibile per un’alleanza che in breve avrebbe trasformato la DC in un partito senza ideali né identità, succube, culturalmente, della sinistra. Il paradosso sta qui: che Dossetti, Fanfani, Moro, prima di fare i “catto-comunisti” erano stati più o meno “catto-fascisti”».

Cioè?

«Fanfani aveva insegnato alla Scuola di mistica fascista; Dossetti aveva preso la tessera del fascio; Moro era iscritto ai GUF (Giovani Universitari Fascisti) e difendeva nei suoi scritti il regime, il concetto di razza e persino la guerra. L’unico popolare di vecchia data che affiancò i giovani “professorini”, facendo la fronda a Degasperi e agli altri fondatori ex popolari, fu Giovanni Gronchi: popolare della prima ora, sottosegretario nel governo Mussolini nel 1922, aderì alla Dc nel dopoguerra, favorendo poi l’apertura a sinistra grazie all’elezione a Presidente della Repubblica.

A questa carica fu eletto anche con i voti dei missini e dei monarchici, dei socialisti e dei comunisti, dopo la morte di Degasperi, nel 1955 (Gronchi fu il primo presidente della Repubblica della DC). Ebbene Degasperi – che aveva sempre avuto in Gronchi uno strenuo oppositore- lo aveva sempre detto: non mi fido di coloro che sono stati educati sotto il fascismo, perché hanno non di rado la stessa mentalità dei socialisti e dei comunisti.

Chiamava i comunisti, infatti, “fascisti rossi” oppure “squadristi rossi” (e conosceva bene la corte fatta da Togliatti ai tanti che avevano aderito al fascismo da sinistra). Degasperi riteneva che il dilemma tra fascismo e comunismo fosse un “falso dilemma”. Storicamente, aveva perfettamente ragione: era stato Mussolini, nel 1919, a ricordare che il fascismo in fondo era uno “scisma” all’interno del partito socialista».

 Cosa ci ha lasciato De Gasperi?

«Anzitutto, grazie alla sua credibilità e intelligenza, ci ha tirato fuori dalla condizione umiliante di paese paria, sconfitto, ex alleato della Germania. In secondo luogo – con il partito da lui fondato e con il sostegno della Chiesa di Pio XII- ha impedito che l’Italia precipitasse di nuovo in una guerra civile, come dopo la prima, tra rossi e neri; ha marginalizzato ogni sciocco revanscismo, e soprattutto ha tenuto a bada i comunisti, molti dei quali pronti allo scontro anche militare, che adoravano Stalin e Tito, e volevano fare dell’Italia un paese satellite, sebbene in modo “originale”, di Mosca; in terzo luogo ha permesso la rinascita economica e civile del paese. Infine, solo per brevità, fu uno dei padri nobili dell’Europa unita, benchè nella sua visione avrebbe dovuto diventare qualcosa di ben diverso da ciò che è oggi. In generale bisognerebbe imparare da Degasperi: la sua serietà, il suo stile, il suo coraggio, il suo idealismo, la sua concretezza, il suo alto senso della politica…possono ancora insegnare molto!»

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